london bridge

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venerdì 22 settembre 2017

La fine dell'estate e la terapia numero tre



Oggi finisce l'estate, quest'estate di merda.
Strana la vita.
Quand'è iniziata l'estate, ero appena atterrata in India.
Oggi sono alle Molinette, terzo giorno di terapia, siamo a metà del percorso.



Ironico come si incastrino tutte le date, o forse no, almeno a me non fa molto ridere, più un sogghigno bastardo.

È stato un mese difficile.
Dopo la prima terapia stavo na favola, ero al mare, circondata dalle persone che amo, i capelli stavano ancora tutti al loro posto, niente nausea, stanchezza eccessiva, febbre, un decorso invidiabile.
La seconda è stata una merda. Cioè non una merda merda, penso sempre che potrebbe andare peggio, perché quando inizi la chemio ti spiegano quali sono gli effetti collaterali, a grandi linee, ma per ogni persona è diverso, e comunque ho l'immensa fortuna di dover passare pochissimi giorni al mese in ospedale, quindi tutto sommato tra un terapia e l'altra, posso stare a casa tranquilla.

Nei giorni successivi alla chemio, almeno per i primi cinque giorni, prendo circa 13 pastigliette al giorno e una puntura sottocute, che mi faccio da sola con l'agilità di Christian F e tutto lo zoo di Berlino. 


Tra queste medicine c'è una guerra civile continua tra cortisone e antinausea. Prendendo 4 pastiglie di cortisone al giorno, passo praticamente la mia giornata con una fame, ma una fame, che se incontrassi qualcuno di voi nel momento sbagliato, sarei capace di addentarvi un braccio (non è mai successo, ma non si sa mai!). Questo però combatte, da quando mi alzo a quando mi corico, con la nausea. Insomma, se non ho fame ho la nausea, e ci sono momenti in cui non riesco nemmeno a distinguere le due cose e, nel dubbio, mangio.


Un altro simpatico effetto collaterale del cortisone è la tachicardia.
Presente quando avete 16 anni, siete innamorati, e tra i corridoi di scuola passa quella persona per cui il vostro cuore palpita e le farfalle vi svolazzano nello stomaco? Ecco. Io mi sento proprio così, peccato che mi capiti prima di coricarmi la sera, il batticuore pare l'inizio di un infarto e le farfalle nello stomaco possano essere o le farfalle al pesto della cena che non digerisco o la nausea pre-nanna.

Na favola, come vi dicevo.


A questo si aggiunge anche il fastidio che non si può vedere, quello nella testa.
La cosa che più temevo, prima di iniziare, era la stanchezza. Avevo paura di essere troppo stanca per vivere la mia quotidianità, pensando che la terapia mi avrebbe debilitato a tal punto da dover chiedere continuamente agli altri di aiutarmi. E io ODIO chiedere aiuto. Amo la mia indipendenza, fare le mie cose quando voglio io, come dico io.
Così non è stato, per fortuna. O almeno, non in maniera così pesante.
La stanchezza di cui tutti mi avevano parlato, oltre che fisica, è per lo più mentale. Io avrei dovuto dare un esame a settembre, ma non riuscivo minimamente a concentrarmi (sarà anche il fatto che sociologia delle religioni sia, in effetti, un esame dimmerda). Oppure capitava spesso che anche solo l'idea di uscire, fare cose, vedere gente, prendere la macchina, mi buttasse proprio un macigno addosso, e decidevo quindi di stare a casa, davanti al mio recupero di Game of Thrones con Pepe.



Ma la cosa peggiore, per me, è stata la fragilità.
Già di mio sono una persona che si scalda per niente, permalosa e instabile. In questa situazione assumo anche le sembianze di una donna incinta in piena crisi ormonale che piange davanti alle pubblicità (come se non l'avessi mai fatto anche quando ero sana in semplice fase premestruo, no no, mai fatto). Basta niente, un piccolo incidente, qualcosa che mi cade dalle mani, qualcosa che non funziona, una parola sbagliata, detta con il tono sbagliato, ed è il dramma. Perché in quei momenti tutto è nero, niente funziona e sembra che non ci sia mai fine alle cose che mi fanno stare male. Poi passa eh, basta un abbraccio, una parola d'amore, una battuta da parte di un amico, o semplicemente la consapevolezza che se non mi rialzo da sola, nessuno verrà a salvarmi.

L'episodio emblematico di questo stato d'animo è successo quando cercavo di tagliarmi i capelli.
Ero a 3/4 di testa e la macchinetta all'improvviso si rompe. 
DRAMMA.
Già il momento non era dei più felici, mi ero alzata con la nausea, stanca per essermi svegliata alle sei senza più riuscire a dormire, più anche questa, non c'è mai niente che vada per il verso giusto, mai.
Non so quanto sono rimasta sul pavimento del bagno quel giorno, mezz'ora, un'ora, non ne ho idea. Non c'era nessuno a casa, quindi o alzavo il culo, o rimanevo a piangermi addosso in attesa dell'illuminazione divina, ma vista la quantità di bestemmie che avevo tirato contro la macchinetta malfunzionante, dubito che avrei assistito a qualsivoglia intervento divino. 
E che si fa? 
Niente, si trova la forza, ci si asciuga le lacrime e si cerca una soluzione. Mi sono alzata, ho cercato in tutta la casa qualche aggeggio per sistemare la macchinetta e, non riuscendo nel mio art attak, ho preso la macchinetta della barba e ho finito di spelacchiarmi. Non è intervenuto nessun Dio a darmi la forza, né niente altro di angelico o sovrannaturale, la forza l'ho trovata da me, facendo una fatica pazzesca, andando contro quello che la mia mente mi diceva e cercando qualche motivo per superare anche quel patetico momento di tristezza.

Dopo i primi giorni, il resto del mese scorre tranquillo. La nausea diventa sporadica, il cortisone finisce nel dimenticatoio fino alla prossima terapia, e al massimo mi tocca qualche sbalzo d'umore. Ma, ehi, alla fine è tutta la vita che convivo con la mia instabilità, che sarà mai!



Il punto più alto dei miei 21 giorni, è sicuramente stata la mia notte al pronto soccorso di Chivasso, passata sulla barella dolorante, nel corridoio più rumoroso della zona Joongla di Apolide. A destra avevo Pumba che russava come un trattore, a sinistra avevo un uomo sulla cinquantina che si lamentava come se fosse in procinto di partorire "ahia, ahia, muoio, infermieraaaa, ho maleeee, infermieraaaaa". Il mattino dopo ho scoperto che aveva solo una colica renale. Meno male che ci sono gli uomini duri che ci salveranno e sopportano il dolore con forza e virilità. E soprattutto IN SILENZIO.
Ringraziamo l'ospitalità del pronto soccorso di Chivasso, che non consiglierei nemmeno al mio peggior nemico, letti comodissimi, stanze un po' rumorose, servizio un po' scadente, ringraziamo per la vacanzina dall'esito totalmente inutile, e torniamo a casa a recuperare una notte di sonno. Responso della visita? Non si sa.
"Ora sta bene no? E allora non si preoccupi, se sta di nuovo male torna qui", cit. Dottore che mi ha visitato il mattino successivo. Caspita, ci hai scritto una tesi di laurea su questo modo per elaborare una diagnosi? No, perché secondo me meriti almeno una seconda laurea.



Tutto passa.
Passano gli effetti del cortisone e le serate senza alcol.
Passa il male alle ossa delle punture per i globuli bianchi.
Passano i giorni che mi separano dall'inizio di una nuova avventura nella nostra nuova casa, passano i pomeriggi a inscatolare libri, passa il trasloco sul trattore.
Passano i drammi pieni di lacrime e i giorni neri come il carbone, passano le risate fino alle lacrime con gli amici, passano momenti di coppia davvero difficili.
Passano 21 giorni, passano di nuovo otto ore in sala d'attesa tra i prelievi del sangue e la visita di controllo ,dalla quale non spuntano novità rilevanti e fissiamo la prima tac a fine ottobre. Basta aspettare.



E sono di nuovo al COES, stanza 22 letto A, terzo giorno di terapia.
Sono sempre stata fortunata, i miei vicini di letto non erano mai particolarmente chiacchieroni. Non ho voglia di parlare. Parlo sempre e di continuo per tutto il resto delle mie giornate, quando ho la flebo al braccio e l'antistaminico nel sangue, voglio solo dormire. Oggi mi è andata male. Oserei quasi dire che sia andata peggio a Luca. La moglie del mio vicino, che giustamente ronfa come se non ci fosse un domani, è la classica madamina piemontese che non vede l'ora di chiacchierare e raccontarti tutta la sua vita e farti mille domande sulla tua, sulla malattia e sui miei meravigliosi unicorni. Se io fossi stata in lui, avrei finto di parlare solo in napoletano per evitare questa noia, ma lui è palesemente meno asociale di me, o forse solo più educato, e ora si sta subendo un racconto dettagliato sui testicoli del marito della signora e di come hanno scoperto il mostriciattolo dentro di lui.



È passata anche la mia dottoressa tenerissima e adorabile, dicendomi che i risultati del laboratorio sul blocchetto di tessuto malato, arrivato dall'India dopo SOLO due mesi e mezzo, hanno confermato l'istologico che avevano fatto in India. Il linfomerda è "vivace", come lo definisce lei, e questo indice di crescita potrebbe darci dei problemini. Non ci resta che aspettare halloween, quando la tac ci mostrerà se la R-Chop sta facendo il suo lavoro, o se non sia il caso di cambiare terapia e aggiungere un ciclo.
Finger crossed.



Nei prossimi giorni ho mille cose da fare, che ovviamente escluderanno gli alcolici dalle mie serate e riempiranno il mio portapastiglie di tante pilloline colorate, e la mia unica speranza è viverla un po' più serenamente di quello che sono stati gli ultimi infernali venti giorni.
Oddio, tranquilla, ma non troppo. Questa vita da casalinga nella casa nuova non fa proprio per me. Ragazze, ma come fate a stare a casa tutto il giorno? Per forza che le casalinghe fanno tanti figli, almeno si tengono occupate con qualcosa che non sia pulire o cucinare. Mi annoio così tanto senza internet che, ieri, stavo addirittura comprando della lana per iniziare una sciarpa ai ferri per l'inverno.
E improvvisamente era il mio centoduesimo compleanno.


Chiudo questo post con tre grandi richieste:

1. Suggeritemi cose da vedere/fare che non implichino l'uso di soldi o un wifi, prima che io impazzisca e diventi una pancina (e non per il mio bimbo di 95 mesi, ma per la pancina che mi sta venendo a forza di mangiare come una scrofa piatti super elaborati, da brava casalinga quale sono diventata). Escludo anche attività culinarie, visto che anche gli altri due stanno diventando pancini, e l'attività fisica perché annoiata sì, ma ho pur sempre il culo pesante e lo sport tello te.


2. Per fare la brava malaticcia casalinga, mantenuta dall'Inps (anche se sti soldi dall'Inps ancora li devo vedere), c'è bisogno che almeno il mio uomo pancino lavori, visto che è venuto dal centro Africa apposta per accudirmi. Aiutatemi a dimostrargli che Torino è una città civilizzata e piena di opportunità di lavoro per i meridionali, perché ci stiamo rendendo conto che la vita lavorativa qui non è facile come a Londra. Nemmeno se hai tanta voglia di lavorare e non hai paura di farti il culo. Se sentite qualcosa, se conoscete qualcuno, se sapete che dove lavorate cercano, scrivetemi in privato, ve ne sarò eternamente grata.


3. Venite a trovarmi! La casa nuova è stata ribattezzata CasaPunk, in onore del mio nuovo gruppo preferito, i Canapunk. Abbiamo anche messo un adesivo sfigato sul campanello, in attesa della targhetta vera, anche se mi piange il cuore non poter più dire "suonate ai rumeni". Quindi, sah, io ho un sacco di tempo per preparare tanti dolcini, e visto che non posso avere un fratello e un fidanzato obesi, bisognerà pure che questi dolci li mangi qualcuno, no?

Vi aspetto per merenda, la seconda colazione, l'aperitivo... insomma sono un Hobbit, sapete che noi mangiamo tutto il giorno, quindi regolatevi!



E anche gli aforismi trovati a caso su Facebook ci ricordano che: #nonsimollauncazzo

sabato 2 settembre 2017

Che ci fai in ospedale? Il lungo viaggio dall'India alle Molinette di Torino.

Innanzitutto, io vorrei iniziare con un
GRAZIE.


In questi giorni ho ricevuto così tanti messaggi, da persone che non sentivo/vedevo da anni, sinceramente interessate per la mia salute, e questo mi riempie il cuore, o comunque ripristina un pochino la mia disillusione nei confronti dell'umanità.
Soprattutto vorrei dirvi che, come ho risposto a molti, non esistono messaggi banali, stupidi, scontati,. Quando una persona sta male, anche solo ricevere una scemenza, un qualcosa che la faccia ridere, sapere che ha l'appoggio degli amici, che qualcuno ti pensa, non è MAI banale o stupido o scontato.

Detto questo, non avrei mai pensato che pubblicando le mie solite disavventure su Facebook, così tante persone si sarebbero preoccupate per la mia salute, anche perchè di solito a parte mia mamma e un ristretto gruppo di amici, nessuno legge davvero quello che scrivo. Quindi non mi sono preoccupata più di tanto che avrei allarmato persone che non conoscevano la mia situazione.
All'inizio non volevo farlo, mettermi a scrivere pubblicamente "ciao, sto male" perchè non avevo voglia di attirare attenzione, non avevo voglia di parlarne né tantomeno di pensarci.

Poi, pochi giorni fa, mentre cercavo qualche informazione nel magico mondo di internette, ho trovato il blog di una ragazza fantastica, che ha affrontato una cosa diecimilioni di volte più brutta di quella che sta capitando a me, e in una notte mi sono letta tutti e quattro gli anni della sua lotta, scritti scrupolosamente, in maniera ironica, divertente, a volte cruda e spietatamente onesta, e ho visto quanto lo scrivere e il condividere sia d'aiuto in questi casi.
Il mio primo grazie va a te, Anna Lisa, che hai condiviso con il mondo intero la tua lotta. E anche se questa malattia di merda ti ha vinta, secondo me la vita l'hai vinta te con il tuo modo di affrontarla.
(Se volete leggere anche voi il suo blog, o informarvi sull'associazione a lei dedicata, trovate tutto CLICCANDO QUI )

Ma quindi, cosa ci faccio sempre in ospedale?
C'è da dire che alle Molinette c'è una quantità di manzi esagerata (che, ovviamente, secondo il Napoli sono tutti gay!), ma purtroppo non è la ragione principale per la quale sono sempre lì.

Il mio racconto comincia in una terra lontana e assolata, a Chennai, in India.
Per chi non lo sapesse, prima di questa estate di merda, io avevo dei progetti fantastici per questi mesi.
A metà giugno sono andata in India con AIESEC per ben due progetti fantastici, entrambi riguardanti i diritti umani.
Il primo a Chennai, che è qui:

con un'organizzazione che si chiama Nirangal e si occupa dei diritti della comunità LGBT (in maniera specifica dei transessuali) in India, che come potete immaginare non è ancora integrata ed accettata come in occidente (e per quante falle ci siano nel sistema occidentale, credetemi, ci sono anni luce di differenze culturali radicate in onore e tradizioni secolari). Qui, il mio compito sarebbe stato occuparmi dell'organizzazione del Pride, del quale avrete sicuramente visto le foto sul mio profilo, documentare le varie manifestazioni, incontri, conferenze tra l'ambasciata USA e l'organizzazione, organizzare l'Internazional Queer Festival e promuovere, all'interno delle scuole, i diritti LGBT tra i ragazzi, aiutandoli tramite dei laboratori e seminari, a capire che non c'è nulla di sbagliato nell'essere gay, che hanno dei diritti come tutti gli altri, e aiutarli verso l'accettazione di sé.
Questo per 6 settimane.

Il secondo progetto era a New Delhi. Qui mi sarei occupata di diritti delle donne, principalmente in un progetto che si chiama "Women's Empowerment", essendo assolutamente convinta che il potere viene dalla conoscenza, per emanciparsi c'è bisogno della cultura. Il mio lavoro, qui, sarebbe stato quello di aiutare le donne delle caste più basse, o senza possibilità economiche per istruirsi, offrendo loro un'istruzione base di inglese, matematica, economia e tutte queste cose che potrebbero aiutarle a rendersi indipendenti, aprirsi una piccola attività e così via. Questo per 4 settimane.
Lavorando solo in settimana, questo mi avrebbe permesso di avere tutti i weekend liberi per poter esplorare l'India, e avevo già programmato di passarne uno a vedere il Taj Mahal, uno a Varanasi per vedere l'alba sul Gange. Tra un progetto a l'altro pensavo di poter vedere Bangalore, e passare un paio di giorni anche a Mumbai.

Dopo aver finito di girovagare per l'India (anche perchè nel frattempo mi scade il visto che durava solo 3 mesi), avrei preso un aereo, direzione Kathmandu, per visitare la città e dirigermi successivamente al Monastero Kopan, dove avrei vissuto per due settimane, senza mezzi tecnologici telefono o connessione internet, a seguire un corso sul Buddhismo tra lezioni teoriche e pratiche.
E poi sarei finalmente tornata a casa.

FIGATA VERO?

Eh, il cazzo.

Dopo le prime settimane a Chennai, una mattina mi sveglio con un male all'addome indescrivibile, corro nell'ospedale che l'assicurazione mi aveva suggerito e mi ricoverano.
Piccolo intermezzo, consiglio non richiesto ma importantissimo:

RAGA, QUANDO VIAGGIATE FATE SEMPRE, SEMPRE 
SEMPRE 
L'ASSICURAZIONE. VI PREGO, FATELO 
(più avanti capirete il perchè)

Mi ricoverano per una presunta appendicite. Presunta perchè c'è qualcosa nel mio addome che impedisce ai medici di vedere chiaramente gli organi sottostanti, e nessuno capisce cosa sia.
Un piccolo interventino che sarebbe dovuto essere in laparoscopia (quello dove ti fanno i buchini e non ti aprono come un porceddu sardo) e durare una ventina di minuti. Avviso amici e parenti di stare tranquilli, che è una cosa da niente, e che ci saremmo sentiti di lì a poco.
Mi risveglio nella mia stanza, in terapia intensiva, non so bene quante ore dopo perchè l'anestesia è potentissima e sono imbottita di morfina. Ho un sondino nasogastrico, la maschera dell'ossigeno senza la quale non riesco nemmeno a parlare, una fasciatura che mi parte da sotto il seno e arriva fino all'inguine, due cateteri, e male, MALISSIMO ovunque. Ma tanto non posso fare altro che dormire, perchè quando chiedo all'infermiera che diamine mi sia successo o che ore siano, mi risponde che sono le due di notte e che domani il dottore mi avrebbe spiegato tutto.

Il giorno dopo il chirurgo che mi ha operata, praticamente il sosia indiano di Sir Pilade 

mi comunica, tutto allegrotto, che mi hanno rimosso l'appendice. Insieme all'appendice, che comunque avrebbero anche potuto lasciar lì (la mia faccia in quel momento, la potrete anche immaginare), hanno rimosso una massa di più di 10cm di diametro, e la relativa parte di intestino in cui questa merdina era cresciuta, facendo un bel taglia e cuci e riattaccandolo ad un altro pezzo di intestino, per fare questo ovviamente hanno dovuto aprirmi l'addome, lasciandomi una simpaticissima cicatrice lunga circa una spanna. E finisce la spiegazione sulla massa con un bel "do you wanna see it? I took a picture" (Vuoi vederla? Ho fatto una foto). E sticazzi, NO. 
A quanto pare, il simpatico indian Pilade ha fatto vedere a tutti i miei amici, tronfio d'orgoglio, la palla che mi ha levato dalla pancia, e ora ci teneva tantissimo a farla vedere anche a me.

Il mio primo pensiero, in tutta questa situazione di disagio, è stata la mia famiglia, il mio ragazzo, i miei amici, che non avevano mie notizie da più di 12ore.
Io in quel primo giorno sono stata male, ma proprio male, perchè volevo solo il mio telefono. La mia unica preoccupazione era parlare con le persone che amo, rassicurarle sul fatto che ero viva, che stavo più o meno bene, e che non vedevo l'ora di tornare a casa.
Invece quella simpatica idiota della mia responsabile, quando all'orario di pranzo è venuta a farmi visita, ha pensato bene di lasciare il mio telefono a casa.
MA CI STAI DENTRO, PORCO GIUDA?
Ho dovuto aspettare fino a tarda sera, all'orario di visita serale, per poter comunicare con tutti, questo vuol dire che non li sentivo ormai da circa 24ore.
Tutti i miei amici più stretti mi avevano sommerso di messaggi, alcuni avevano scritto a mia mamma su facebook, gli altri hanno solo aspettato con l'ansia addosso, e mi dispiace davvero.

Ho passato circa una settimana in terapia intensiva. Quel reparto non aveva niente da invidiare a Grey's Anatomy, avevo la mia stanzetta singola, con un'infermiera a mia disposizione 24/7. Piano piano, mi fanno una lenta riabilitazione per respirare da sola senza ossigeno, inizio una dieta liquida a base di succhi di frutta alla mela (che schifo), acqua di cocco (CHE SCHIFO), limonata e brodino. Ricomincio a camminare, con il supporto di una fascia elastica, e fa male, una male pazzesco.

E poi il dramma: l'assicurazione non riesce a comunicare con l'ospedale. I ragazzi di AIESEC si sono occupati di tutta la parte burocratica del mio ricovero, essendo il primo ospedale privato della città, i costi sono esorbitanti anche per essere in India, ma per mia fortuna ho stipulato l'assicurazione, o almeno così credevo. Esce fuori che l'ospedale non riconosce la mia assicurazione internazionale, e mi manda una prima parcella: 5mila euro. Ottimo, come se non fosse già abbastanza difficile il mio recupero, mi sale anche l'ansia per questa montagna di soldi che ovviamente non ho. 
In più devo essere trasferita in stanza. Ogni stanza ha il suo prezzo, e non essendo sicura che sarei riuscita a parlare con l'assicurazione e risolvere questa situazione, scelgo la stanza dei poveri, quella insieme a sei persone. 
E si passa da Grey's Anatomy ai lazzaretti della peste descritti nei Promessi Sposi. Quando ho visto quella stanza ho pensato "bene, sono sopravvissuta ad un operazione ad addome aperto, una trasfusione di sangue, sto iniziando a recuperare le forze e morirò per colpa di un'infezione in questo buco di culo di stanza". Intanto i miei genitori mi pressavano dall'Italia, mobilitavamo Consolati, Ambasciate, Farnesina (che marò spostatevi proprio), i ragazzi di AIESEC India facevano chiamate in Olanda, Germania, Italia per capire quale fosse la sede dell'assicurazione alla quale dovevano rivolgersi. E dall'ufficio dell'ospedale arrivava il mio foglio delle dimissioni con la parcella, totale: 10mila euro. 
Vabbè, lasciatemi qua a morire, cosa succederà mai se non pago? 
Una lotta contro il tempo, mi vogliono dimettere, ma non abbiamo ancora sta maledetta assicurazione. Il giorno prima delle dimissioni riusciamo a contattare la sede in Germania, che ci assicura che tutto sarebbe stato risolto. Però entra in gioco il fattore fuso orario. Quando gli uffici in Germania sono aperti, quelli dell'ospedale sono chiusi e viceversa. Il mattino delle mie dimissioni, non so per quale miracolo, dall'ufficio in Germania riescono a comunicare con quello dell'ospedale, pagheranno tutto loro. Sono 
LIBERA.
Libera di uscire senza mutande dall'ospedale.
Sì, perchè quella simpatica idiota della mia responsabile, dalla quale vivevo, non è potuta venire a prendermi, e va bene, comprensibile. Però si è anche dimenticata, nei giorni precedenti, di portare a me, o alla ragazza che mi avrebbe accompagnata, della biancheria intima. Quindi la ragazza gentilissima e amorevole che mi ha aiutata con le dimissioni, mi ha portato dei suoi vestiti per uscire, ma ovviamente non aveva con sè mutande o reggiseno.

VI RENDETE CONTO DI QUANTO POSSA ARRIVARE IN BASSO LA MIA VITA?


Ma non importa.
Sono fuori.
Sono libera di prenotare un aereo e andarmene affanculo il più lontano possibile da qui, tornare a casa e abbracciare la mia famiglia. Avrei solo dovuto aspettare 15-20 giorni, perchè con una ferita del genere non era sicuro volare. Certo, camminavo come una storpia, lenta come una tartaruga centenaria, dolorante per la ferita, ma in fondo andava tutto bene. I miei mi avevano prenotato un albergo per passare gli ultimi giorni in India un po' più al comodo rispetto alla panca di legno nella casa senza frigo dove stavo (vi siete persi il mio blog sull'India? ECCOLO CLICCANDO QUI), tutto andava bene.

Il giorno dopo le mie dimissioni, sono andata a ritirare il referto istologico, dove avremmo finalmente capito cos'era quella palla, dopodichè tanti saluti e baci, non avrei più visto un ospedale indiano in vita mia.

Ecco.

Quello è probabilmente stato uno dei giorni più brutti della mia vita.
La sera prima, leggendo il referto del medico sulle dimissioni, nelle probabili cause della massa, avevo letto "tubercolosi addominale o cancro", ed ero abbastanza impanicata, ma cercavo di mantenere la calma, non dicendo nulla a nessuno, se non al Napoli, che comunque mi aveva tranquillizzata dicendomi che erano solo supposizioni e sicuramente c'era una terza opzione.

Purtroppo no.
Il referto era tutto in inglese, ovviamente. E per quanto io abbia tradotto Grey's Anatomy dall'audio un sacco di volte, ero comunque limitata nella comprensione di una cosa del genere.
L'unica cosa che capivo, era una parola che non avrei mai voluto leggere: LYMPHOMA.

Il dottore mi spiega che quella palla gigante nient'altro era che un linfoma.

E che minchia è un linfoma? 

Per quanto io sia mega infoiata con i telefilm medici, non è che abbia tutta questa conoscenza adeguata, ancora oggi, dopo che me l'hanno spiegato sia in India sia in italiano, continuo ad avere molti dubbi a proposito.
Mi spiegano che un linfoma è un cancro del sangue, che i linfociti (che aiutano il corpo a difendersi dalle infezioni) impazziscono e creano dei linfomi, che viaggiano fino ai linfonodi facendoli ingrossare. Il problema, o meglio i problemi sono che i linfonodi sono ovunque nel corpo, ce ne sono centinaia, quindi i linfomi che hanno trovato nel mio addome, potrebbero essersi spostati in altri linfonodi, infettandoli, o addirittura essere arrivati al midollo. Indian Pilade mi spiega che lui ha rimosso tutto quello che ha potuto vedere ad occhio nudo, ma che devo iniziare una chemioterapia il prima possibile.

Mentre tutto questo mi veniva comunicato, io non ero propriamente io. 
Non pensi mai di poter avere un cancro, finchè non te ne viene uno. Io ho sempre pensato che fosse una cosa che accade nei libri di Nicholas Sparks, nei film tristi, ai nonni quando sono tanto anziani, agli altri in generale. Non a ME. 
Perchè a me?
Quando ti danno una notizia del genere, nella tua mente è il caos. Più pensavo e più mi veniva da piangere, e più avrei voluto un abbraccio dalle persone che amo. Non ero sola, c'erano la simpatica idiota della mia responsabile e la ragazza dolcissima che mi ha prestato i vestiti all'uscita dall'ospedale. 
Ma non era la stessa cosa.

Io pensavo, e pensavo, e pensavo.
Pensavo che volevo tornare a casa.
Pensavo che avrei dovuto abbandonare tutto, addio India, addio estate alla ricerca delle risposte che cercavo, addio Nepal, addio progetti.
Pensavo che a ottobre avevo dei progetti di una convivenza con la persona che amo.
Pensavo a come l'avrei detto a tutti.
Pensavo ai miei genitori, alla mia famiglia, al Napoli, a tutte le persone la cui vita sarebbe stata scombussolata da questa notizia.
Pensavo che mi sentivo in colpa da morire, senza nessuna ragione apparente, ma era tutta colpa mia se le persone attorno a me avrebbero sofferto per una mia condizione fisica.
Pensavo, mi chiedevo, ma di linfoma si muore?

Così, in questo stato di totale trans, estraniata dal mio corpo, cercando di trattenere malamente le lacrime e sommergendo Indian Pilade di domande, lui cercava di darmi tutte le risposte che poteva, ma non essendo un oncologo, le sue erano comunque risposte limitate. Mi scrisse una lettera, da portare ad un suo caro amico oncologo in un altro ospedale della città, per far sì che potesse visitarmi immediatamente senza appuntamento, e mi saluta augurandomi ogni fortuna nella vita, perchè io ero un uragano dalla forza pazzesca, e se non lo sapeva lui che mi ha messo le mani nella pancia per due ore, chi altro avrebbe dovuto saperlo? (giuro, ha detto così, e mi ha anche richiesto se fossi sicura di non voler vedere la massa che mi ha tolto dalla pancia, che amorino).

Dopo la visita dall'amico oncologo, mi comunica che avrei fatto subito tutti gli esami, tac, pet, biopsia ossea, il giorno dopo. Alla modica cifra di mille euro. Non essendo ricoverata, l'assicurazione non avrebbe potuto pagare subito, quindi avrei dovuto anticiparli io per poi ottenere un rimborso dall'assicurazione stessa.
Grazie, rifiuto l'offerta e vado a casa.

I giorni precedenti alla mia partenza sono stati un po' una merda. La prima persona a cui l'ho detto è stato mio fratello. Non potevo dirlo ai miei, non per messaggio, e questa è stata la mia preoccupazione maggiore per tutto il tempo, come l'avrei detto ai miei genitori?
I 15-20 giorni indispensabili prima della partenza, per evitare traumi post-operatori, sono diventati 7, dopo una settimana sono partita. Avevo letto qualcosa su internet dei motivi per i quali sarebbe stato meglio aspettare dopo un'operazione, qualcosa che aveva a che fare con la pressione dell'aria, del sangue, dell'ossigeno, boh, io sono sempre stata una capra in fisica. Temevo solo che l'aria nella mia pancia, ad alta pressione, mi avrebbe fatto esplodere come un kamikaze. E va beh, almeno sarei stata ricordata per qualcosa.
Un volo da Chennai ad Abu Dhabi. 
Due ore di scalo.
Altre sette ore da Abu Dhabi a Milano.

La gioia di rivedere i miei genitori all'aeroporto, riabbracciarli dopo tutta questa merda, penso sia indescrivibile. Se non sono scoppiata in volo per colpa della pressione, sarei scoppiata a Malpensa, ma per la gioia.
Dopo le comunicazioni importanti, di corsa dal mio medico di famiglia che mi prenota per il giorno successivo una visita al COES delle Molinette, dove, tramite il CAS, sarei entrata nel sistema dei pazienti oncologici, avrei avuto tutte le esenzioni, loro avrebbero pensato a prenotarmi tutte le future visite e mi avrebbero solo comunicato telefonicamente le date. Io sono la prima a insultare la sanità pubblica, ma mi veniva quasi da piangere a pensare a quanto mi sentivo a casa.

Da quel giorno è iniziato il mio percorso per curare il linfoma di merda, anche rinominato linfomerda.
La mia ematologa è una persona dolcissima, mega easy e disponibile a rispondere a tutte le mie domande, inclusa "ma potrò bere nei giorni successivi alle chemio?" e soprattutto "posso usare l'erba, a scopo terapeutico, ovviamente?".
Dopo tac, pet, biopsia ossea (che vi assicuro è un esame dimmerda, ma dimmerda che non posso nemmeno descriverlo, è come se uno sturalavandini vi ciucciasse la linfa dalle ossa, una sensazione disgustosa), scopriamo che i linfomerda sono sempre lì. Quelli che mi avevano tolti sono ricresciuti, che ha la capacità di crescita del 95%, che è un linfoma non Hodgkin a grandi cellule e che sono sparsi un po' dappertutto nell'addome, ma per fortuna SOLO nell'addome. Il midollo è pulito, così come il resto dei linfonodi del mio corpo, per fortuna.
Dottoressa adorabile mi spiega subito che devo stare tranquilla, che è trattabile, che si guarisce nel 95% dei casi, che è comune nei giovani e in quel tratto di intestino, che non si sa perchè vengano, che non dipende dal mio stile di vita, da quel che mangio o bevo, che come tutti i tumori viene e bom.

Mi spiega che la chemio potrebbe danneggiare le mie ovaie, rendendomi sterile. Questo accade nel 5% dei casi, ma ci sono dei programmi sperimentali, chiamati Fertisave, che permettono alle persone sotto terapia, di salvaguardare la loro fertilità congelando ovuli o spermatozoi e che è una proceduta gratuita. Inizio quindi anche questa avventura, fatta di iniezioni giornaliere di ormoni, di due visite a settimana al Sant'Anna, ecografie interne, visite varie. Scopro che così gratuita non è, visto che le punture hanno un costo di 60€ l'una, e ne devo fare un bel po'. Mi ritrovo da un giorno all'altro a dover decidere se l'eventualità di diventare madre in un futuro, valga effettivamente un bel po' di soldi, io che sono sempre stata restia a vedere la maternità come parte della mia vita. Però fanculo, non posso fare in modo che un po' di soldi e linfomerda mi impediscano di mettere al mondo dei piccoli geni del male col mio DNA, l'acidità nelle vene e gli occhi azzurri, spendo sti soldi. Il giorno dell'estrazione riusciamo a prelevare e congelare 5 dei miei ovetti, e speriamo di non averne mai bisogno.

Abbiamo iniziato la terapia, che è una R-Chop, una chemioterapia insieme all'immunoterapia, che fondamentalmente serve a dare una svegliata al mio sistema immunitario per far sì che riconosca ed elimini queste cose il prima possibile. Saranno sei cicli, uno ogni 21 giorni, alla fine dei quali speriamo di aver eliminato linfomerda.

Il primo ciclo è avvenuto in due giorni, e per fortuna avevo il Napoli con me, che pazientemente ha assistito ai miei scleri, ai miei sbalzi d'umore e a tutti i miei crolli emotivi senza fiatare e con una pazienza di un Santo. 
Il primo giorno sono stata sei ore a fare l'iniezione dell'immunoterapia. È durata così tanto perchè bisogna controllare come il corpo risponde, visto che le reazioni allergiche sono molto comuni.
Pensate sia andato tutto bene? No, ovviamente.
Ho avuto una reazione allergica respiratoria, dopo due ore e tanto cortisone/antistaminico, abbiamo ripreso la flebo, e dopo 8 lunghissime ore siamo usciti dall'ospedale.

Giorno due, prima chemio, mi spiegano come funziona la Chop, quali farmaci ci sono dentro. Mi dicono che quello rosso è il più aggressivo, che mi farà fare un po' di pipì rosa e sarà lui a farmi cadere i capelli. Questa volta per le due siamo fuori, e ho un solo pensiero: andiamo al mare.

Dopo due giorni così, ci aspettavano le vacanze, che mai avrei pensato di fare. Dopo tutto il mese di luglio e l'inizio di agosto passati in ospedale, almeno tre giorni a settimana, non speravo nemmeno di vederlo, il mare. Anzi, pensavo che dopo la terapia avrei avuto tutta la nausea del mondo nelle quattro ore di macchina che ci aspettavano, e ci saremmo dovuti fermare ad ogni piazzola di sosta per vedere l'esorcista che è in me.
Invece, avendo preventivamente preso tre antinausea (ops), tutto è filato liscio, le mie due settimane di mare sono state all'insegna della tranquillità, del cortisone che mi ha impedito di bere a ferragosto, delle punture di globuli bianchi che mi davano dolori lancinanti alla schiena prima di dormire, e delle nottate passate a fare tantissima pipì ogni due ore. Ma a parte questo, non posso proprio lamentarmi, niente vomito, niente nausee improvvise, niente febbre.

Il secondo ciclo di chemio è stato ieri, questa volta ad accompagnarmi è stata la mia mamma, e mi hanno inserito il PICC.
Il PICC, che dovrò tenere per tutta la terapia, è una canulina, una piccola cannuccia, che viene infilata nel braccio e va fino al cuore, al quale viene attaccato un pirulo che pende dal braccio. Questo pirulo servirà sia a fare i prelievi del sangue, sia ad attaccarci le flebo della terapia. Praticamente è funzionale al fatto che non dovranno più bucarmi e devastarmi le vene ogni volta, perchè si farà tutto tramite pirulo.

Sto bene, cioè potrei stare meglio, ma sto bene. 
Ho rinunciato ad un progetto fantastico a migliaia di km da qui, in questo preciso istante sarei dovuta atterrare in Nepal. Non nego che soffro tantissimo per questa cosa. 
E per gli elefantini. Perchè porca miseria, io volevo vedere gli elefantini.
Però è andata così.
Ho un concetto molto particolare di karma, e questa volta sono piuttosto amareggiata. 
Non lo vedo come qualcosa che agisce attraverso le vite passate, ma come qualcosa dai risvolti quasi cristiani. Ho sempre pensato che se tu sei gentile, fai le cose per gli altri, aiuti il prossimo, cerchi di vivere la vita secondo il concetto "fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te", allora la vita ti avrebbe ripagato nello stesso modo. A me è successo il contrario, vado in India per aiutare gli altri, e torno a casa con un linfomerda. Certo, lui era lì in agguato da mesi senza avermi dato nessun sintomo, però ancora sto cercando un senso a tutto questo. Perchè da qualche parte c'è. Mi aiuta pensare alle parole che mi ha detto un'infermiera gentile il primo giorno di ricovero nel dayhospital delle Molinette "io non so perchè succedano queste cose, però devi vederla così: tu non sei malata, tu hai una malattia. Questo è importante che tu capisca, perchè la malattia non sei tu, è una cosa esterna e se ne andrà"


Ecco la maxi storia di come la mia vita è cambiata, capovolta, sottosopra sia finita. 
Ora tutti sapete perchè sono sempre in ospedale, circondata da manzi bellissimi che somigliano a Ciro di Gomorra (tanti cuori!)

Se siete arrivati a leggere fin qui, complimenti, non avete vinto niente. Se non un abbraccio quando vi vedrò di persona, perchè vuol dire che allora vi interessava davvero sapere cosa mi è successo. Commentate su facebook con la parola ABBRACCIO e in omaggio divertenti temi e suonerie, e un abbraccio vero.
Vi aggiorno, promesso.
Perchè so che a tutti piace ficcanasare nei fatti degli altri, e a me serve condividere le mie sventure.
Così facciamo felici tutti e vualà.

Io vado avanti, e #nonsimollauncazzo