london bridge

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sabato 30 dicembre 2017

Addio Chemio... ma le sfighe continuano!

Ho i miei tempi, e devo ammettere che prima ancora di iniziare a produrre qualcosa di costruttivo e trovare le giuste parole da mettere insieme, ho creato questo bimbaminkiosissimo collage, perchè mentre sistemavo le mie foto del 2017, ho trovato i vari selfie che mandavo ai miei amici quando, durante la terapia, mi chiedevano come stesse andando. Mettendole una di fianco all'altra mi sono resa conto di quanto sia cambiato il mio corpo, il mio viso, la mia pelle. A quel punto, è bastato solo aggiungere le scritte da adolescente di Netlog, ma continuavano a mancarmi le parole giuste per scrivere. E so che, piuttosto che blaterare a caso, è meglio aspettare che arrivi il momento giusto, e le parole si scriveranno da sole.




Ho aspettato un bel po'.

Come se sapessi che intitolare un post solo "addio chemioterapia" mi avrebbe portato sfiga.

Ve lo scrivo con un po' di amaro in bocca, quello stesso amaro che mi è rimasto non potendo toccare nulla di tutto ciò che c'era sulla mia tavola imbandita come le vere famiglie piemont-terrone sanno fare.

Ho finito la chemio il 24 novembre.
Posso dire di essere uscita da quel reparto che quasi volavo, non toccavo terra, volevo solo arrivare a casa, morire sul divano, finire l'ultimo ciclo di cortisone + punture + antinausea + medicine di qualsiasi tipo, per poi aprire una bella bottigliazza di Champagne e brindare alla mia nuova vita, che cominciava finalmente da lì.

Una nuova vita fatta, in primis, di sushi e carne cruda, i cibi che mi hanno vietato per tutta la terapia, che non vedevo l'ora di mangiare tipo così:

E in secondo luogo da un Natale lontano dagli ospedali, dalle medicine, dalla nausea, da tutto questo schifo.
Avevo davanti solo più due punturone di immunoterapia, con quelle siringhe grosse come ceri pasquali, e poi addio ospedali fino a fine gennaio con le visite di controllo (sangue, tac, pet, tuttecose)

Questa, per lo meno, era la mia aspettativa quando ho lasciato l'ospedale il 21 dicembre, salutando tutto il reparto del COES e trotterellando felice verso l'ufficio.

E invece no, qualcuno aveva piani diversi per me.
Quel qualcuno, è un bastardo, sia chiaro.
Poco me ne frega se è stato da poco il suo compleanno, e poco me ne frega essere volgare o blasfema a questo punto.

Indovina, indovinello.

Chi ha passato la vigilia e metà del giorno di Natale, sdraiata su una brandina in mezzo al corridoio dell'ospedale di Chivasso?


ESATTO!

Non bastava tutto quello che ho passato nell'ultimo periodo.
Mi sono anche puppata il viaggio in ambulanza, l'infermiera di Chivasso che mi dice "ehi, di nuovo qui! Ma noi ci conosciamo", tutta la notte della vigilia in un lazzareto pieno zeppo di malati di tutti i tipi (non avete idea di quanto possa esser pieno un ospedale sotto Natale, l'avete ringraziato il bambin Gesù durante la messa di Natale, anche per questo, sì? Bravi.), gli infermieri troppo presi a mangiare la lasagna e l'arrosto piuttosto che curare noi poveri stronzi buttati in corridoio senza possibilità di chiamarli in casi di necessita, tranne urlare come se fossimo a Porta Palazzo, quattro flebo di antidolorifico e il chirurgo che mi dice che tanto sono solo aderenze, o coliche addominali, e finchè il mio intestino non si assesterà dall'operazione, non c'è nulla che loro possano fare. 
Bello. Confortante. 
Ah, a casa mi è anche venuta la febbre.
E Buon Natale.

Me ne torno a casa, sconfortata e dolorante.
Con la desolante consapevolezza che con questo male ci devo convivere, che non è tutto finito, che in qualsiasi posto del mondo mi trovi, in qualsiasi momento dell'anno, mi potrebbero prendere questi dolori lancinanti, e dovrei cercare l'ospedale più vicino. E se fossi scesa a Napoli con Luca per Natale? Mi ci vedete in una barella piena di formiche buttata nel corridoio dell'ospedale di Napoli? Dai, uagliù, non si può vivere così, non a 27 anni. Non quando pensavi che fosse tutto finito.

E soprattutto, voi tutti avete mangiato come cinghialotti, io ora vi elenco il mio menù delle feste:

24 dicembre: tutto ciò che ho mangiato è stato vomitato
25 dicembre: una bottiglia d'acqua, quattro plin e qualche cucchiaiata di brodo di bollito
26 dicembre: due cucchiai di riso e una patata bollita

Quando potrò recuperare tutti i vol-au-vent con fonduta, gli agnolotti al ragù, il vitello tonnato, i pandori ripieni di mascarpone, la paella della vigilia? Anche io voglio l'occasione di sfondarmi di cibo e lamentarmi che sono sazia all'inverosimile.

Se sento qualcuno parlare di dieta post-feste vi consiglio la mia, raga diventate dei figurini.


Sono incazzata, e tanto anche, ma devo dire, comunque, che dall'altro lato è tutto finito.
Niente più giornate passare al Day Hospital, sdraiata sul lettino a fare la terapia.
Niente più cibo dell'ospedale nauseabondo.
Niente più nausee che durano giorni e giorni
Niente più notti insonni e risvegli all'alba per colpa del cortisone
Niente più larva buttata sul divano senza forze per cucinare o senza la concentrazione per leggere un libro.
Niente più capelli che cadono.

Niente di tutto ciò.

La chemio ha avuto anche risvolti positivi sulla mia vita, parliamoci chiaro.

- Non ho avuto peli su tutto il corpo per mesi. Sapete cosa vuol dire una vita senza ceretta per mesi? E per quanto bene io voglia alla mia estetista, è stata una liberazione.

- La gente si alzava sui mezzi per cedermi il posto, quando vedevano che avevo il foulard in testa.

- Ho saltato un sacco di file ai musei, sono entrata gratis in tanti altri, e potrò continuare a farlo fino a giugno, quindi sappiate che se siete soli e vi serve una compagna da musei, con me entrate gratis

- Posso usarmi la "carta cancro" ogni volta che non voglio fare qualcosa. Lo so, è brutto. Non si fa. Gne gne gne. Ma il cancro l'ho avuto io e ci faccio il cazzo che voglio, bando ai moralismi.

- Potrei usare la "carta cancro" anche per andare a C'è Posta per Te (chiamate Maria per me!)

- Mi ha facilitato nella ricerca di un lavoro

- Posso mangiare gelato in qualsiasi momento voglia perchè "dai, è l'unica cosa che mi fa passare la nausea!"

- Tutte le visite mediche gratis, esami gratis, medicinali gratis. E scusate se è poco!

- Non dovevo più farmi la tinta. Sapete quanto ho speso negli ultimi due anni per cambiare 5 colori di capelli? Ecco, con gli stessi soldi, ci compro un volo a/r per New York. E niente più soldi per lo shampoo, balsamo, maschera, crema, sticazzi.





Chi mi conosce lo sa, anche in queste situazioni demmerda, ci devo vedere qualcosa di buono, se no impazzisco!



Poi un venerdì sera, tornando da lavoro, in una Torino imballata dal traffico di persone che non vedevano l'ora di tornare dalle proprie famiglie dopo una settimana di lavoro, parte questa canzone.









E partono le lacrime.




Vorrei incollare tutto il testo, ma mi limito al pezzo che, principalmente, ha interrotto le mie bestemmie contro i guidatori stressati che non sanno in che corsia devono stare, e mi ha riempito gli occhi di emozioni:


E' da qui
non c'è niente di piu naturale che
fermarsi un momento a pensare
che le piccole cose son quelle più vere
e restano dentro di te
e ti fanno sentire il calore
ed è quella la sola ragione
per guardare in avanti e capire
che in fondo ti dicono quel che sei


è bello sognare di vivere meglio
è giusto tentare di farlo sul serio
per non consumare nemmeno un secondo
e sentire che anche io sono parte del mondo
e con questa canzone dico quello che da sempre so
che la vita rimane la cosa più bella che ho.

Ho iniziato, istintivamente, a pensare a quanto sia cambiata la mia vita negli ultimi sei mesi, a tutto quello che mi è successo, al peso che ho iniziato a dare alle cose.

Al peso che ho iniziato a dare alla vita.

Io rido, scherzo e faccio di continuo battute macabre sul cancro, è sempre stato il mio modo per affrontare i miei problemi. Come quella volta che, parlando di M&M's con un amico di mio fratello col quale avrò parlato probabilmente due volte prima di quella, stavamo constatando quanta merda ci fosse in quelle caramelle deliziose, e lui disse "Dicono anche che quelle verdi facciano venire il cancro", ed io, senza nemmeno pensarci troppo, ridendo, uscì con un meraviglioso "Massì, tanto il cancro ce l'ho già, almeno mangio cose buone". Non volevo mortificarlo, davvero, era una battuta delle mie. Poverino. È diventato tutto rosso, si è scusato più o meno duecento volte e ha smesso di rivolgermi la parola per paura di dirmi qualsiasi altra cosa.

Però, al di fuori di questi momenti di black humor, e al di là del fatto che il giorno del mio compleanno ho esordito con "questo è l'anno in cui morirò, perchè io sono una rock star, e si sa che le vere rock star muoiono a 27 anni".
Sticazzi, non avrei mai detto che la mia vita avrebbe preso questa piega inaspettata.
Come non avrei mai immaginato, durante gli ultimi sei mesi, di ritrovarmi a pensare alla morte in maniera più seria e concreta rispetto a quanto abbia mai fatto in tutta la vita.
La prima volta, il giorno in cui mi hanno operato in India e la seconda quando ho letto per la prima volta la parola "linfoma", chiedendomi se di linfoma si possa morire.

E quella sera ero lì.

SANA.

Nella mia città, con la mia macchinina indistruttibile, appena uscita da un luogo di lavoro che mi piace proprio, mentre stavo per raggiungere la persona che amo, nella nostra casetta.
Dire che in quel momento mi sentissi quantomeno grata della mia vita, probabilmente sarebbe un eufemismo.

Piangevo perchè avevo appena realizzato che nemmeno nelle mie fantasie più sfrenate avrei potuto immaginare tanta fortuna per un singolo momento della mia vita. Men che meno dopo tutta la merda nella quale ho sguazzato, senza salvagente o bracciolini, solo tre mesi a questa parte.

Eppure ero lì.
VIVA.
Ecco, quella canzone, in quel momento.

Non so come io abbia evitato un incidente, visto che ormai piangevo come se stessi guardando una puntata di Grey's Anatomy, ero quasi a Chivasso circondata dalla nebbia e non vedevo nulla.
Ho preso una boccata d'aria a pieni polmoni e l'ho buttata fuori espirando lentamente e profondamente, come mi ha insegnato il mio maestro di yoga.

E mi sono sentita felice.

Non importa se la mia paura più grande è, e resterà sempre, che il linfomerda torni. Perchè nel momento in cui ho saputo di essere davvero guarita, oltre il primo scombussolamento iniziale durante il quale non ho ben realizzato cosa significassero le parole "la tac è pulita", ho avuto un momento di buio, che è durato pochissimo, ma non mi ha permesso di godermi il momento in quell'istante.

Avevo paura.

Sapevo che sarei guarita, e non per ottimismo o per fede in qualcuno o qualcosa, ma perchè dal momento in cui ho iniziato a sentir parlare degli esperti, tutti mi hanno rassicurato sulla curabilità del mio particolare linfoma.

Il punto è: e se torna? 

Dopo questo percorso, breve ma intenso, sarei mai in grado di riaffrontare tutto,  DI NUOVO?
Questa è la paura più grande che mi ha accompagnato per tutto il mio percorso, e non c'è sfera magica, Paolo Fox o fede che leverà mai quest'ombra dai miei pensieri.

Poi, per carità, tutti conosciamo il mio "mai 'na gioia", quindi la prossima cacca di piccione che mi cadrà in testa è dietro l'angolo.

Però chissene frega, io alzo la radio, canto e, nel dubbio, apro l'ombrello.


E visto che l'anno sta per finire.
E visto che ne ho viste davvero troppe.
E visto che mi sono ritrovata a pensare spesso "come poteva esserci un finale allegro, come poteva il mondo tornare com'era dopo che erano successe tante cose brutte?"
E visto che questo è il periodo dell'anno in cui si guardano le saghe.
E visto che per me c'è solo un'unica e sola trilogia.

Vi lascio con il mio personale augurio, anche se non sono ancora proprio convinta al cento per cento che la mia vita tornerà mai ad essere quella di prima, quando non dovevo preoccuparmi continuamente di cosa mangiare, cosa bere, se da un momento all'altro sarebbe potuto venirmi il male all'addome con tanto di corsa al pronto soccorso, se le carenze di ferro prima o poi passeranno e potrò smetterla di farmi le punture per l'emoglobina...non so se tutto questo passerà mai e mi lascerà vivere come una persona SANA che non deve costantemente stare in ansia per la sua salute.

Ma so che c'è del buono in questo mondo. Ed è giusto combattere per questo.



Buone feste a tutti.
(ah, e parlando di sfighe, indovinate chi è tornato da Napoli dicendomi "amore, ho promesso a mio padre che se avremo un figlio lo chiameremo come lui". Suo padre si chiama Alfonso. Passo e chiudo)

venerdì 3 novembre 2017

Pronti per il mambo number 5, quinto ciclo e sorrisi


Prima di iniziare volevo fare due premesse. La prima è lui, perchè finalmente siamo arrivati al ciclo numero 5:


La seconda premessa è questa:
la mia mamma, nonchè mia fan numero uno, nonchè assidua lettrice di questo blog fin dalla sua creazione (quando i lettori erano circa quattro), mi ha rimproverata per il mio linguaggio scurrile e poco signorile.
Quindi, per dimostrare alla mia mamma che qualche volta la ascolto sempre, per questo post facciamo un fioretto e censuriamo tutte le parolacce.
(io ci provo, GIURO! Ma visto che hai partorito una bella bambolina dagli occhi azzurri e i boccoli color del grano, che crescendo si è tramutata in una donna alpha dalla delicatezza di un camionista ucraino, la raffinatezza di Rocky Balboa, il tasso alcolico di Karen Walker e il linguaggio di Sgarbi, sappi cara mamma, che per me sarà durissima!)

Quindi, cominciamo.

Io e la mia banda di unicorni, più ananas e papino che per la prima volta è venuto a tenermi compagnia al COES, siamo qui per il penultimo ciclo, come vi avevo preannunciato, e abbiamo tutti un mega sorriso sulle labbra. Sì, anche l'ananas, appena scoprirò dove gli ananas hanno la bocca.
Se il post precedente è stato brutto, cattivo e incazzato arrabbiato, questo sarà pieno di unicorni, arcobaleni, brillantini, fatine, coriandoli, stelle filanti e notizie gioiose come quella della gravidanza dei Chiarez (Fedagni? Bo, vabbè, ci siamo capiti).

È incredibile quante cose succedano in soli 21 giorni.
Proprio l'ultima volta che stavo scrivendo su questa pagina, non c'era quasi niente che andasse bene, ogni volta che sembrava esserci UNA cosa che stava andando per il verso giusto, seguivano a ruota dieci cose pronte a complicarla. Come un gigantesco e affamato Majin Bu, pronto ad inglobare ogni piccolo barlume di gioia che mi si presentasse. Va bene, forse sto facendo un po' la Leopardi della situazione.
Let's move on.

In ogni caso, proprio come avevo scritto l'ultima volta, a forza di prender pioggia, dovrà pur spuntare un arcobaleno no?

Eccoli, finalmente sono arrivati, sono tanti, e non so bene da dove iniziare.

A parte il fatto che il mio arcobaleno numero uno, sembrerà zuccheroso, stucchevole e leccaculo ruffiano, ma devo ammettere che siete voi.




Sì, anche tu, lettore sconosciuto che non mi hai mai visto in faccia e che hai seguito le mie (dis)avventure negli ultimi quattro mesi.
Potete immaginare il mio stupore, la prima volta che ho parlato del viaggio dall'India al COES, nel vedere quante centinaia di persone si siano interessate alla mia salute. 
Dopo il primo post, ho ricevuto messaggi da tutte le parti, whatsapp, messenger, commenti, cuori, affetto, persone per strada che mi chiedevano come andava... e più andavo avanti a raccontare e più i miei lettori si facevano numerosi. Fino ad arrivare a sentirmi dire da amici, parenti, la mia estetista, e pure mio fratello (che l'ultima cosa che ha letto è stata - probabilmente - un Topolino nel 1999 o le istruzioni per montare il letto) che dovrei scrivere un libro. Probabilmente non lo farò mai, perchè sono un'eterna procrastinatrice, incostante e non porto (quasi)mai niente a termine, e probabilmente non diventerò mai la Ferragni col mio blog, e da questa storia non guadagnerò nemmeno un centesimo. Ma solo il fatto che il mio ultimo post sia stato letto DUEMILA volte, beh... raga! Che vi devo dire.... Grazie! 
Grazie, non smetterò mai di dirlo.
Prima di tutto perchè io nemmeno credo di conoscerle, 2000 persone. 
E secondo poi perchè mi riempite sempre d'affetto in una maniera incredibile, anche persone che avevo lì tra gli amici e coi quali magari non parlo da anni o semplicemente abbiamo un'amicizia che non va oltre al semplice scambio di "mi piace", però tra voi, i miei amici più stretti e la mia famiglia, avete fatto la cosa che, secondo me, è più importante per un malato: non mi avete fatta sentire sola.
Certo, è vero che la solitudine è nella testa di una persona che sta male, nel momento in cui pensi che nessuno possa davvero capire quello che stai passando, quello che hai dentro e i pensieri tristi che solo tu puoi sentire.
PERO'.
È anche vero che in tutti quei momenti, non mi è mai mancato un abbraccio, un aperitivo pieno di sorrisi, una cena in compagnia, un bacio sulla fronte o una mano amica che mi accarezza i capellini che mi stanno crescendo (oh, no, SPOILER!)

Se c'è una cosa che ho imparato, in questi mesi, è non dare per scontata la quotidianità, la semplicità, lo stare bene.
Dopo giorni e settimane passate con la nausea, priva di forze fisiche o mentali e con lo scazzo l'uggia del non volersi alzare dal divano, il solo fatto di poter stare bene fisicamente, e godersi una cena con i miei cugini a ridere fino alle lacrime è un piacere che magari prima non avrei colto. Ecco perchè mi arrabbio quando non riusciamo a organizzarci per una pizza, pur vivendo tutti nello stesso paese di seimila abitanti. Perchè, per me, quel momento che passiamo insieme, e durante il quale io sto bene, è un lusso che per molti altri giorni non mi sono potuta concedere.
Ancora di più dopo aver scoperto di essere guarita (oh, no, SPOILER numero 2!).
Il giorno in cui ho fatto la TAC, non sapevo che esito avrebbe avuto, e ho semplicemente scelto di circondarmi degli amici di una vita, e fare una piccola cena in casa, ignorante e con tanto alcol. E poco importa se l'esito sarebbe stato positivo o negativo, quello che mi importava era soltanto essere circondata da persone che sarebbero state in grado sia di farmi ridere fino alle lacrime sia di consolarmi, facendomi comunque ridere con delle battute assolutamente inappropriate e fuori luogo sulla malattia, come solo loro hanno sempre saputo fare (come quando, sette anni fa, è mancata una persona a cui tenevo tantissimo, e loro in qualche modo riuscivano a farmi ridere mentre ero devastata dal dolore, e per questo credo di non averli mai ringraziati). Alla fine, quella serata è stata un grande festeggiamento tranquillo, cibo buono, vino buono, champagne del Lidl, bambini che suonavano al campanello per "Dolcetto o Scherzetto" e venivano cacciati, Valentina che viene insultata dai suoi amici per aver cacciato i bambini, Luca che propone di dare ai bambini il Dolcetto inteso come vino,
bambini che tornano e si puppano i biscotti alla zucca, risate, abbracci e semplicità. Quella semplicità che voglio celebrare, che nella mia quotidianità fatta di nausee, dolori alla pancia, umore sotto i piedi e affaticamento, mi era mancata immensamente.

Quindi, il primo arcobaleno, amicici siete voi.

A proposito di amici, ecco la seconda novità.
Abemus lavoro!
Anche se è arrivata la lettera dell'accertamento delle capacità lavorative, da parte dell'Inps, che conferma la mia "totale invalidità lavorativa" con percentuale 100%, sono riuscita a trovare lavoro, per un anno, in una grande multinazionale torinese che magari non posso nominare per privacy (ma quando mai? È l'Iveco!). Quindi è proprio il caso di dire: impiegati dell'Inps? mavaaaaaaaacagarevah andate a espellere le vostre incombenze intestinali, suvvia.
Sono felicissima, agitatissima, totalmente consapevole che sarò un'incapace pazzesca o romperò il computer il primo giorno di lavoro, ma poco importa, la buona volontà e la voglia di imparare sono tante e perchè lo stipendio è davvero buono (e mai avrei pensato di poter chiamare "buono" il mio primo stipendio italiano, figuriamoci azzardare un "davvero buono", mi scende una lacrima!), l'orario è d'ufficio, le feste sono a casa e nel week end posso andare a piangere mentre guardo vedere il Toro allo stadio.

[PARENTESI INUTILE:
 vogliamo parlare di un altro momento felice? 
Tipo il Toro che vince in casa dopo DUE MESI? 
Ok, basta, chiusa parentesi arcobaleno-calcistica]

E ora parliamo degli amici, perchè, signore e signori, anche il Napoli ha trovato lavoro.
Siete in tanti ad avermi chiesto il suo curriculum perchè volevate aiutarci, e vi ringrazio tanto tanto tanto, perchè anche se magari la cosa non è andata in porto, il pensiero conta, e non lo dico tanto per dire. È proprio grazie a qualcuno - che non vuole essere nominato - che legge sempre il mio blog, se lui in questo momento mi ha abbandonata qui col mio papone e sta lavorando. Incrociamo le dita perchè gli vada bene e questo momento di tranquillità lavorativa duri per entrambi.


Una novità, che è conseguenza e allo stesso tempo artefice della mia tranquillità, è lo yoga.
Va tanto di moda da secoli, e io sono anni che continuo a dire che dovrei iniziare a farlo. Ho colto la palla al balzo, con il corso del Circolo Donna, e piano piano sto imparando a usare il respiro per trovare un po' di pace interiore.
Ve lo dico eh, è impossibile.
Anche durante i luuuuunghi minuti, passati a concentrarmi per respirare profondamente, nella mia testa è il caos. Sembra di essere a Kobane nel bel mezzo dei bombardamenti. Proprio gna fo' a spegnerlo e rilassarmi, se avete l'antidoto o la formula magica, condividetela con una donna perennemente inquieta.
Nel frattempo, continuo a lavorare sulla mia pace interiore, almeno mi impegno di più di quanto si stiano impegnando persone più importanti per lavorare sulla pace a Kobane.
Ma andiamo avanti.

Ormai l'altro arcobaleno ve l'ho già annunciato, metà su Facebook e metà poco sopra.
I CAPELLI!


Sono tanti, sono fini fini e SONO BIONDI. Ok, niente panico. Sono solo i primi, e fanno in tempo a scurirsi.
Non mi avrete mai bionda. Mai più. 



Sembro un pulcino spelacchiato, ma ad accarezzarli sembro un cucciolo di labrador. Avete il mio permesso scritto di pacioccarmi la testa appena mi vedete!


Ma l'altro arcobaleno che ho visto in questi giorni, ha poconulla a che fare con i capelli.
Ho avuto l'immensa fortuna di vedere e poter parlare con uno dei miei scrittori preferiti di sempre. Il profeta. L'unica persona che potrebbe parlare anche di pubblicità di pannolini per bebè, e io starei lì ad ascoltarlo, estasiata, come se si trattasse di un saggio sui diritti umani.
No, non è Obama.
Anche se è nel monte Olimpo degli uomini della mia vita.
È pelato.
È napoletano.
È Roberto Saviano.
Non è stato facile trovare qualcuno che venisse con me. Cioè, io sarei anche andata da sola. Cioè io gli avrei anche fatto compagnia per tutta la tournè, da sola. Cioè, io vorrei anche far parte della sua scorta, fargli da domestica, cuoca, autista, telefono amico, compare nel fantacalcio, fidanzata, madre dei suoi figli(non è vero, Luca, scherzo eh), però ormai avevo preso due biglietti e dovevo andare con qualcuno. Tutti i miei amici hanno storto il naso, perchè in molti ritengono che Saviano sia uno spocchioso, arrogante, pallone gonfiato e pieno di sé. Quindi alla fine, mi ha accompagnato il suo compaesano, malgrado pensasse le stesse cose che pensavano i miei amici.
Ora, io non sono mai andata a prendere un caffè con Bobo, ma in quei cinque minuti in cui sono riuscita a scambiare due parole con lui, vi assicuro che mi è sembrato tutto fuorchè ciò che in molti pensano.
Avendo una gran faccia da culo tosta, ho iniziato subito a fare la rompipalle stressacadaveri, chiedendogli di inserirmi una dedica speciale "Stai senza pensieri", perchè il giorno dopo avrei avuto la famosa TAC e avevo davvero bisogno di sentire la mia frase preferita in napoletano, e non c'entra niente il fatto che la dicano di continuo in Gomorra, davvero.
Dopodichè è partita la seconda richiesta. Potete pensare quello che volete (e se non la pensate come me, come al solito, non me ne frega un cazzo la vostra opinione non è di mio primario interesse) ma ogni volta che sento quanto sia difficile la vita sotto scorta, mi si stringe il cuore e mi sale una gran voglia di abbracciarlo, perchè la solitudine non la merita nessuno. E così mi sono fiondata ad abbracciare Saviano, tuffandomi tra le sue braccia che la Cagnotto avrebbe preso un 10 alle olimpiadi. Me ne sono andata con la promessa, da parte sua, che la TAC sarebbe sicuramente andata bene e la promessa, da parte mia, di fargli sapere in qualche modo come sarebbe andata.



Quindi arriviamo con la notizia più bella, ma mi sa che ormai non è nemmeno più una novità, visto che l'altro giorno i miei mi dicevano che, dopo la messa, venivano fermati dalle persone che mi conoscono per farmi i complimenti per la guarigione (o si dice auguri per la guarigione?). Ma pechè non ho pensato di farlo dire dal parroco del paese con il megafono? 


Occhei, Valentina, un po' meno.


Dunque la grande notizia è cheee:

LINFOM*RDA È STATO SCONFITTO.

E qua c'è solo una cosa che va detta, cantata, condivisa e ricondivisa in tutto il mondo:




Cari tutti, voi tenetevi la Madonna di Lourdes, quella di Fatima e di Medjugorje. Padre Pio e tutto il calendario dei Santi.
A me è bastato un abbraccio da Santo Roberto Saviano da Napoli, per guarire dal linfoma.

Si scherza, né.
Per fortuna esiste la chemio, i dottori, la scienza e LA RICERCA.
A tale proposito, ci tengo veramente tanto tanto tantissimo a fare un piccolo momento di pubblicità.


Raga, la ricerca è FONDAMENTALE per fare in modo che i linfom*erda e tutti gli altri cancrim*rda vengano sconfitti e le persone come me possano continuare a rompervi le ballescatoline. Potete anche credere che sia Dio a curarmi, ma senza l'aiuto della chemioterapia, anche Dio ha le mani legate, ve lo assicuro.

Nel dubbio, questi sono i GIORNI DELLA RICERCA, fino al 5 novembre, e vi allego un articoletto preso da LaStampa dove vi spiegano bene tutto quello che sta facendo l'AIRC, cliccando QUI.



Ci chiediamo spesso cosa possiamo fare noi per rendere il mondo un posto  migliore, almeno io me lo chiedo piuttosto spesso. E in tantissimi mi avete chiesto "cosa posso fare per aiutarti?", per aiutare me personalmente, niente, oddio, a parte venirmi a trovare con una vaschetta di gelato. Però non ci sono solo io, siamo in tanti, basti pensare che ogni giorno vengono diagnosticati circa mille nuovi casi di cancro.

E voi cosa potete farci? Potete fare un sacco. Prima di tutto, ci sono moltissimi tipi di cancro che sono riconoscibili in anticipo, prima che siano troppo dannosi, con la prevenzione, quindi non sottovalutate le vostre condizioni fisiche. Il mio linfom*rda non si poteva riconoscere in anticipo, non ha dato sintomi, ed è diventato una palla di 20cm che mi è cresciuta nell'intestino.

Oltre alla prevenzione si può fare qualcosa attivamente, e il modo più banale che mi viene in mente è donando il sangue. Durante le mie simpatiche visite in ospedale ho visto decine di persone che facevano trasfusioni, e io stessa ne ho avuto bisogno in India. DONATE. Non costa niente, ovviamente non vi pagheranno, ma sarete controllati ogni volta che donate il sangue, gli esami sono gratuiti e la vostra salute è sempre sotto controllo, e soprattutto, cosa molto più importante, potete davvero salvare la vita a qualcuno.

E se avete paura degli aghi, se avete visto le Iene e pensate che poi l'Avis vi rubi le sacche di sangue e le rivenda al mercato nero ( Ienedimerda Le Iene sono un programma che non incontra i miei gusti personali), se non volete donare il sangue senza che vi diano dei soldi in cambio, o se avete tante balle simpatiche scuse per la testa, allora donate all'AIRC.

Spendete sti du' soldi per i "cioccolatini della ricerca" ( trovate le piazze dove comprarli: CLICCANDO QUI )

O fate semplicemente una piccola donazione dal sito, sempre seguendo il link che ho messo sopra. Non importa se non siete miliardari, un piccolo aiuto da parte di tutti aiuta la ricerca a crescere, e voi aiutate gli sfigati come me a guarire.

Prontissima ad affrontare questi ultimi 21 giorni che precederanno l'ultimo ciclo e che inizieranno con l'organizzazione di una giornata intera di sorprese per il compleanno dell'uomo che più ha dovuto sopportare le mie lamentele, i miei pianti, i cambi d'umore, le ore infinite nelle stanze d'ospedale, i miei silenzi, i turbamenti, le risposte acide e sarcastiche. Perchè in questi giorni, nessuno più di lui, che ha messo da parte il suo spropositato e permalosissimo ego, per far spazio al mio gigantesco ego da vittima malaticcia, e merita di essere festeggiato nel migliore dei modi.
E io vengo dalla scuola Maria DeFilippi, no, non Amici, la scuola di C'è Posta Per Te, con sorprese, lettere lunghe come la bibbia e pagliacciate varie, poverino non sa cosa lo aspetta.


Sempre con il mio motto preferito
#nonsimollauncazzo #nonsimollaunpene #scusamamma

P.S. Mi scuso per la quantità di gif di Will e Grace ma questa puntata è stata particolarmente toccante, quindi meritava qualche menzione in più.

sabato 14 ottobre 2017

Malaticcia, inca**aticcia e polemica

Niente, a sto giro vi tocca un po’ di polemica.

Siete avvisati, quindi non avrete motivo di lamentarvi con me che sono sempre la solita rompiballe.
Il fatto è che ieri ho fatto il quarto ciclo,e tutto è passato tranquillo, mentre traducevo per Subspedia la mia parte in Will e Grace e mi scervellavo, con l'aiuto del Napoli, per rendere in napoletano una scena incentrata sull'accento di New Orleans (non mi chiedete!)

Oggi no, oggi sto demmerda.
I 21 giorni che sono passati tra il terzo e il quarto ciclo, sono stati davvero fantastici, a livello fisico, a livello mentale NO.

Il grande problema della NAUSEA è stato risolto con l’antinausea della vita, il mio nuovo miglior amico, l’Emend, che ho scoperto costare tipo 88 euro per tre pastigliette da assumere nei primi tre giorni dopo la terapia. Con l’aiuto delle pastigliette magiche (e non parlo dell’ecstasy!) e la mente impegnata in mille cose, non ho avuto modo di far prevalere i malesseri fisici.

Sono andata ad un concerto a vedere il mio gruppo preferito (i Linea 77, tanto amore e tanto pogo), solo quattro giorni dopo la terapia, e stavo davvero bene. Prima fila, tutte le canzoni a memoria, urlate a squarciagola, saltando come una teenager. Ho anche quasi iniziato una rissa e beccato uno sputo sul braccio, giusto perché la dottoressa ha detto che sono immunodeficiente e devo evitare posti affollati e malattie virali. Come minimo ho preso l’ebola, la suina e la febbre dei polli gialli. Non importa, ero nel mio ambiente del disagio ignorante musicale torinese, ed ero tranquilla, sana, pelata, senza copricapo e libera dai dolori e dalla nausea.



Oggi no, oggi male. Ma ne parleremo dopo.

Perché oggi sono incazzata e polemica?

Sono incazzata perché sto male e odio lamentarmi.
Perché avrei mille cose da fare: la spesa, una casa da pulire, il bucato da fare, i pavimenti da lavare, il tappeto che ormai è una colonia di batteri e ecosistemi a sé, o anche solo una camminatina o passare il sabato sera al pub a bere una birrozza.
Escludiamo pure la birrozza, grazie al simpaticissimo cortisone, ma per trovare la forza di andare a buttare la munnezza, ho dovuto ricorrere a tecniche da super saiyan, figuriamoci se riesco a uscire da qui. Ieri ho preventivamente scaricato tutte le serie tv arretrate, scroccando internet dai miei (perché OVVIAMENTE siamo ancora senza internet, e i tecnici di Vodafone sembrano più impegnati del Papa durante il periodo pasquale, santiddio) quindi immagino che passerò i prossimi giorni tra un pianto lungo 40 minuti davanti a This is us (che se non avete mai visto, VEDETELO!), a controllare di non avere nuove malattie rare con Grey’s Anatomy, a sognare una carriera lavorativa nella politica con Olivia Pope, farmi prendere male con la nuova stagione FA-VO-LO-SA di American Horror Story, e infine a farmi due risate con Will e Grace.


In tutto questo, quel sant’uomo del Napoli, non solo va da una parte all'altra della casa tra stendere il bucato, cucinare e lavare i piatti, ma deve anche rincorrere me per prendermi di peso (e peso più di 60kg, se non gli esce un ernia è fortunato!) e mettermi sul divano per farmi stare buona, calma e forzarmi al riposo.
E nel caso vi stiate chiedendo dov’è il terzo inquilino della casa, il buon Fratello, dorme! Dopo ore infinite a lavoro, straordinari, gruppi musicali con cui provare, e giustamente trovare il tempo da passare con la sua ragazza, credo che sia collassato sul letto e si sveglierà verso l’ora di cena dopo un lungo letargo.
Morale della favola, il mio uomo è costretto ad accollarsi tutti i lavori di casa, mio fratello ha finito le energie da qui al duemiladiciotto, e io vegeto nel mio stato nausea-fame molesta-crampi alla pancia, dalla quale non riesco a liberarmi da due giorni a questa parte.
Ieri sera mi sono coccolata con un bicchiere di Nebbiolo, nettare degli dei, per poi crollare dalla stanchezza ancora prima che finisse X-Factor (e questo è già un ottimo motivo per incazzarsi).
Ma il peggio è arrivato sta mattina, il povero ragazzino a cui faccio ripetizioni avrà pensato che fossi strafatta di crack, mentre invece avrei solo voluto vomitare sul libro di matematica in qualsiasi momento senza riuscire a concentrarmi un secondo.
Sono incazzata perché questa non sono io. 
Non ho la lucidità per fare dei calcoli elementari, non ho la forza per uscire, non ho voglia di addentare quel fantastico pollo che ha cucinato per me il mio ragazzo, per paura di vomitarlo. E sono incazzata perché odio lamentarmi quando sto male, non sono un uomo, santo cielo. Non penso di morire con una semplice febbriciattola a 38°C.
Eppure sono qui, a sfogarmi con voi che siete arrivati a leggere fino qui.

Sono incazzata perché linfomerda ha limitato le mie scelte future.
Perché la mia condizione non mi permette di fare tutto quello che vorrei.
Ieri parlottando con la mia adorabile e sempre disponibilissima ematologa, le stavo dicendo che, quando guarirò, (perché non esiste un SE guarirò, io guarirò, punto.) dicevo, quando guarirò vorrei tanto poter rendere “grazie” a modo mio per esserne uscita. Non andrò in Chiesa a ringraziare, e ne parleremo dopo, ma vorrei fare qualcosa di concreto. Visto che, per fortuna, il mio midollo non è stato intaccato dalla malattia, desidero donare il midollo alle persone che sono state più sfortunate di me e sono state costrette a subire un trapianto di midollo.
E NO.  
Mi risponde la mia dottoressa, non puoi farlo, Valentina. Praticamente ho scoperto che, dopo aver fatto una chemioterapia, non solo non potrò donare il midollo che, non si sa mai, potrebbe servirmi in un futuro se la malattia si ripresentasse. Ma la cosa peggiore è che non potrò mai più donare il sangue, né tanto meno donare i miei organi quando morirò. 
E la cosa mi fa incazzare da matti. 
Prima di tutto perché se io non avessi avuto qualcuno che mesi fa ha fatto la scelta responsabile e altruistica di donare, io sarei morta durante l’operazione, quindi spingo sempre tutti quelli che conosco a diventare donatori di sangue, e poi perché ho sempre voluto battere mio padre che ha tante di quelle donazioni Avis che ormai superano la cinquantina. 
E secondo poi perché io ci tenevo davvero a donare gli organi. Proprio l’altra sera a Le Iene (sì, lo so, è un programma osceno) parlavano di quanto sia restia la gente a donare gli organi, mentre io non ho MAI avuto nemmeno il minimo dubbio. Una volta morta, a cosa potranno mai servirmi i miei organi? Ok, il mio fegato probabilmente sarà inutile, e se lo strizzate può anche darsi che ne esca un liquore buono post-mortem tanto è l’alcol assimilato  durante la mia vita, però tutto il resto è in ottimo stato. Ho un gran cuore, due bei polmoni da non fumatrice, due reni in ottimo stato idratati a suon di birra, un utero che aspetta solo di essere riempito da un parassita, ops, batuffolo d’ammore. Insomma, io i miei organi non li voglio portare nella tomba, voglio essere utile a qualcuno che può davvero averne bisogno per vivere.
E invece no. Questo stupido linfomerda ha reso inutile il mio corpo, sia da vivo, sia da morto.

Sono incazzata perchè non voglio provare invidia verso i miei amici.
E' proprio una cosa odiosa, ti fa stare male. 
Vedo i miei amici che viaggiano, visitano posti fichissimi, vanno al mare, all'estero, fanno cose semplicissime che fino ad un anno fa facevo anche io.
Però io ora sono bloccata qui. 
Non posso prendere un aereo, un po' per una questione economica, e un po' per la solita storia dell'immunodeficienza. 
Non vedrò il mare fino a chissà quando, e non posso dire di essere pienamente realizzata dall'aver passato le vacanze in Romagna dove il mare è più simile ad una pozza fangosa, soprattutto dopo essere stata alle Canarie ad Aprile e aver visto QUELLE spiagge e QUELL'oceano. 
Invece ora, al massimo vedo la vasca da bagno, con un fashionissimo tappetino per la doccia a forma di coccodrillo (Ikea je t'aime).
E vedo le vostre foto, e vi invidio da matti. Cosa assolutamente non giusta, perchè è davvero una cosa idiota provare invidia verso le persone a cui vuoi bene. Quindi mi incazzo.

Sono incazzata perché l’Inps mi prende per il culo.
Non so quanti di voi sapranno questa cosa, perché io ne ero completamente all'oscuro prima di ammalarmi e prima che un’amica me ne parlasse, perché sappiate che i medici non vi diranno mai un cazzo se non glielo chiedete esplicitamente.
In quanto malata oncologica, ho diritto a richiedere l’invalidità all’Inps, se non riuscissi nemmeno a muovermi, avrei anche diritto all’accompagnamento, ma visto che sono perfettamente autosufficiente, non mi sono nemmeno posta il problema. 
In più un vostro parente/coniuge possono richiedere la legge 104, che gli da diritto a 3 giorni di permesso lavorativo al mese per accompagnarvi alle visite mediche. 
In più, qualora rientraste nella categoria degli invalidi, potreste rientrare nelle categorie protette, secondo la legge 68/99, e avere più possibilità di trovare lavoro, perché le aziende hanno l’obbligo di assumere appartenenti alle categorie protette, quando il loro numero di organico supera determinate cifre.
Bello, ve’?
Eh, insomma.
Qualche mese fa, fatte le varie visite all’Inps e le procedure burocratiche al Caf, mi dichiarano invalida al 100% e inabile al lavoro, ritenendomi idonea a ricevere una pensione di invalidità, di poco meno di 300€ al mese. Procedura pressocchè standard per qualsiasi malato di cancro che fa chemioterapia.
Benissimo, però io ho un affitto da pagare, le bollette da pagare, mangio come una scrofa quindi anche la spesa da fare, la benzina, internet e via dicendo. Capirete che 300€ non sono niente. Cioè, non voglio passare per ingrata, grazie che questi soldi ci sono, però visto che la mia “disabilità” non compromette le mie facoltà fisiche o mentali, decido comunque di iscrivermi alle categorie protette e cercarmi un lavoro.
Seconda visita all’Inps, accertamento delle capacità lavorative. In pratica devono accertarsi che io sia a posto col cervello, possa muovermi facilmente e svolgere funzioni lavorative che ovviamente non comprendano lavori di fatica. E qui la presa per il culo. Il simpatico impiegato che deve rilasciarmi la lettera nella quale si certifica che io posso comunque svolgere un lavoro, preferibilmente d’ufficio, mi dice che con una percentuale così alta di invalidità è difficilissimo, se non impossibile, che qualche azienda prenda in considerazione il mio curriculum, perché comunque “signorina, come vede sulla lettera c’è scritto “inabile al lavoro”.”
Ricapitolando.
Lo Stato certifica la mia invalidità al 100%, mi dichiara inabile a lavorare, e pretende che io campi con 300€, perché nessuna azienda mi prenderà mai con una percentuale così alta.
Ditemi se vi sembra un ragionamento sensato, perché a me no.

(E sempre sul tema lavoro)
Sono incazzata perché l’Italia è un posto terribile dove cercare occupazione.
Lo sapevamo che sarebbe stato difficile. 
Non siamo a Londra, dove non siamo mai stati più di una settimana senza lavorare, dove prendevamo 10£ all’ora per fare lavori del cazzo, dove avevamo sempre regolari contratti con ferie pagate che potevano permetterci di viaggiare e vedere il mondo.
Siamo in Italia. E non c’è differenza che tu sia senza diploma o abbia quasi due lauree, tre anni di esperienza all’estero, un’ottima conoscenza della lingua inglese, una gran voglia di lavorare, sia iscritta alle categorie protette o meno, e due palle che vi potrei schiacciare tutti quanti tanto sono toste. 
No.
Perché l’Italia è quel posto dove ti offrono lavori in nero a 600€ per 60 ore lavorative a settimana.  
È quel posto dove per fare lo spazzino della raccolta differenziata chiedono il diploma, ma per lavorare all’Agenzia delle Entrate come impiegato amministrativo (a Cagliari) basta la terza media, e giuro di aver personalmente letto entrambi gli annunci di lavoro e aver provato più nausea di quanta ne provi adesso per colpa della chemio.
L’Italia è quel posto dove due giovani, sotto i 30 anni, non riescono a trovare lavoro, anche passando giornate intere a scandagliare tutti i siti di offerte, le agenzie e gli annunci più idioti. 
L’Italia è quel posto dove i giovani hanno davvero voglia di lavorare, e vengono contattati da cooperative che li potrebbero assumere part-time, 20 ore a settimana, per un tirocinio da 300 euro al mese (pagati ogni due mesi).
L’Italia è quel posto così saturo di richieste di lavoro da essersi completamente imballato in se stesso, in mano ad agenzie del lavoro che lucrano su poveri disgraziati, il più delle volte prendendoli per i fondelli.

“E se ti fa tanto schifo l’Italia, tornatene a Londra”

Non ve lo nego, ci sono state giornate dure, dove sia io sia il mio ragazzo  ci siamo guardati negli occhi chiedendoci “ma chi ce l’ha fatto fare di tornare?”.
Non lo so. 
È tutta colpa mia, ovviamente. 
Io volevo iniziare a costruirmi un futuro qui, nel mio Stato, finire la specialistica, stare vicino alla mia famiglia, ai miei affetti, alla mia cultura e allo stile di vita all’italiana che tanto mi mancava a Londra. È forse sbagliato? 
E lui, per amore, mi ha seguita, assecondando le mie scelte. Ora, chi sta facendo più fatica ad adattarsi a queste scelte, è lui, perché il mercato del lavoro è un posto con meccanismi assurdi, perché devi avere esperienza per fare un lavoro manuale (come il magazziniere), perché se vuoi lavorare nell’edilizia ci sarà sempre qualcuno che farà un lavoro ad un prezzo più basso del tuo, perché nelle fabbriche non entri se non hai un corso in meccanica, o le conoscenze, perché serve un diploma anche per un lavoro manuale che potrebbe fare una scimmia, e perché serve un titolo di studio anche per prendere dei cassonetti e buttarli dentro un camioncino.
Sapevamo che non sarebbe stato facile, ma così mi fate proprio incazzare.

E sono incazzata con Dio
O meglio, con chi mi rifila profezie religiose per risolvere le mie ansie.
Chi mi conosce sa che sono stata una persona tutto sommato religiosa fino ai miei 20 anni. Quando ho capito che non può esistere un Dio che fa morire la persona che ami, a soli 26 anni, per un male davvero stupido. Lì è iniziata la mia lotta contro Dio e contro tutte le ingiustizie del mondo.
Ho iniziato a capire che non può esistere un Dio che permette che una tua amica abbia un male brutto e più sembra vicina la guarigione, e più ne spuntino altre.
Non può esistere un Dio, quando una nipote lascia il nonno per tornare a Londra a febbraio, dove lui sta tutto sommato bene, e quando torna a giugno ha a malapena il tempo di vederlo e parlargli un’ultima volta, ad un corpo dove il suo nonno è imprigionato da una malattia che gli è venuta all’improvvisto e nel giro di due giorni se l’è portato via.
Non può esistere un Dio che strappa ad una famiglia un uomo, un padre, giovane, mentre sta guidando la sua macchina con suo figlio addormentato sul sedile posteriore, che non ha mai avuto la possibilità di salutarlo per l’ultima volta.
Non può nemmeno esistere un Dio che strappa alla sua famiglia una mamma che ha sofferto tanto, girando quasi tutta Italia per cercare una cura ad un male che non si può curare, una mamma che era il pilastro della famiglia, che ora fa fatica ad essere unita come prima.
Non può esistere un Dio, quando una ragazza andata all’estero per fare del bene e aiutare le persone più sfortunate, viene operata d’urgenza, da sola, e scopre di avere un linfoma, da sola, senza nessuno dei suoi affetti vicino ad abbracciarla in uno dei momenti più terribili della sua vita.
E potrei andare avanti all’infinito, citando guerre, bambini malati, e così via.
Io non ci credo più. 
Provo una profonda invidia per Chiara Luce Badano, che ha vissuto serenamente la sua malattia affidandosi a Dio, perché almeno aveva qualcosa in cui credere, qualcosa che le potesse dare la convinzione che sarebbe andato  tutto bene.
Io non ho questa convinzione.
Pochi giorni fa ho avuto delle forti fitte all’altezza della vescica dove, secondo la TAC fatta tre mesi fa, ho le masse più grosse. E questo mi fa pensare che siano ancora lì, e che la strada potrebbe essere più lunga del previsto.
Non ho la certezza di affidarmi ad un Dio buono e caritatevole. Non ho la certezza che, nel caso in cui dovessi morire, andrei in un fantomatico paradiso dove potrei incontrare i miei nonni, Freddie Mercury e San Tommaso. Perché io non credo, non ho fede e l’unica cosa che mi da la forza per superare tutto quello che mi sta succedendo sono io. Io con la mia forza di volontà, con la mia famiglia che mi riempie d’amore, con il mio ragazzo che ha una pazienza infinita (e anche quando questa pazienza finisce, riesce a trovarne altra), ed i miei amici che si preoccupano sempre per me e mi mandano duecento messaggi quando sanno che ho la terapia.
Nessun Dio.
Quindi, non fatemi incazzare con queste frasi che dovrebbero essere fatte per farmi stare meglio del tipo:
  •           È solo Dio che ti mette alla prova
  •           Le strade del signore son infinite, vedrai che c’è un motivo a quello che ti sta succedendo e lui lo sa
  •           Quando guarirai, capirai il miracolo della guarigione che ti ha mandato dio
  •           Quello che ti succede non è colpa di Dio, ma del male, per questo dovresti andare a messa e chiedere a Gesù di combattere il male

E vi giuro che queste sono tutte frasi che mi sono state rivolte negli ultimi tre mesi. Lasciate stare, davvero. Su questa bella storiella di Dio ci ho messo una pietra sopra, e qualsiasi cosa diciate, mi farà solo venire i nervi.

[Dio mi ha guarito, non la chemio, non i medici, non la scienza, non la ricerca, DIO.] 

Sono tanto incazzata, e mi avevano avvertito che sarebbe stato normale. Il fatto di essere impotente di fronte ad un corpo che non fa quello che vorresti, è davvero disarmante.

Poi, per come sono io, passo giornate buissime, ma passo anche momenti pieni di grandi sorrisi.
Non è vero che gli ultimi mesi sono stati solo nausea, tristezza e stress per il lavoro.
Ho avuto sostegno incredibile da tutti quelli che mi sono vicini e da tutti quelli che seguono il decorso della battaglia contro linfomerda anche a distanza.

C’è stato chi ha creato una raccolta fondi online per regalarmi un cucciolo di San Bernardo (grazie Vittorino!)
Chi mi ha mandato messaggi privati con offerte di lavoro per il Napoli (non posso fare nomi, ma grazie!), chi è venuto a trovarmi e far bagordi nella casa nuova portando cibo, dolcini, pensierini o semplicemente un sorriso, chi si è offerto di dare in prima persona un lavoro al mio ragazzo per aggiustare la propria casa, chi mi manda messaggi di forza in qualsiasi momento della giornata, chi si è subìto l’eterna attesa della sala d’aspetto quando ho le visite dall’ematologa (mia mamma ormai ha l’abbonamento, ma grazie a Elena e mio fratello, che stavano esaurendo!), chi non fa nemmeno una piega se in preda ad un momento di profonda tristezza, torno a casa con una gabbia, del mangime e un cricetino schizzato



E c’è chi legge sempre i miei post e li commenta con affetto.
GRAZIE, davvero.


E poi cerco di prendere i lati positivi di questa invalidità al 100%, come  il fatto di poter entrare gratis nei musei o l’abbonamento gratis alla GTT 
(maledetti, vi odio e prenderò i vostri mezzi, sempre in ritardo, AGGRAAAATIS AH!) 

Senza dimenticare la cosa più importante. I miei dolorini, i cambiamenti d'umore, la nausea, il vomito, lo stomaco a pezzi, l'intestino tagliuzzato, sono NIENTE in confronto a quanto stanno passando altre persone, magari con un linfomerda, o una metastasimerda, o un qualsiasi cancromerda. Io ho la fortuna IMMENSA di stare a casa mia, lontana da quel letto d'ospedale di cui ho tanto paura. Non ho mai avuto la febbre, che è uno degli effetti collaterali più frequenti. Non ho avuto la polmonite, fin'ora almeno, altro gettonatissimo premio in palio per chi fa l'R-CHOP. Non sono più corsa in Pronto Soccorso, perchè la Codeina è una cosa bellissima e fa passare tutti i dolori. 
Diciamocelo forte e chiaro: tutto sommato, sto bene.

E in ultimo cerco di godermi ogni secondo con la persona che amo, anche se l’ansia per il lavoro è tanta, i momenti di sconforto per la nostra situazione economica a volte sembrano insormontabili ma cerchiamo la forza di sostenerci l’un l’altra (anche se spesso è la malata che si deve ingegnare per far sorridere l’uomo!),e almeno siamo insieme. Dopo tutte quelle che abbiamo passato, inclusi due mesi lontani quest’estate, adesso ho la (s)fortuna di avere sempre tra i piedi un insopportabile terrone permaloso, tutto il giorno.

Nella sfortuna, comunque la vediate, io provo davvero a mettermi gli occhiali arcobaleno, da brava Pandi-Corn quale sono, e vedere il mondo come lo farebbe un Panda Unicorno. Cioè mangio, che nel dubbio non sbaglio mai, e cerco di scovare gli arcobaleni. 
Perché, vuoi o non vuoi, dopo i temporali più brutti, spunta sempre qualche cazzo di arcobaleno no?


#nonsimollauncazzo

venerdì 22 settembre 2017

La fine dell'estate e la terapia numero tre



Oggi finisce l'estate, quest'estate di merda.
Strana la vita.
Quand'è iniziata l'estate, ero appena atterrata in India.
Oggi sono alle Molinette, terzo giorno di terapia, siamo a metà del percorso.



Ironico come si incastrino tutte le date, o forse no, almeno a me non fa molto ridere, più un sogghigno bastardo.

È stato un mese difficile.
Dopo la prima terapia stavo na favola, ero al mare, circondata dalle persone che amo, i capelli stavano ancora tutti al loro posto, niente nausea, stanchezza eccessiva, febbre, un decorso invidiabile.
La seconda è stata una merda. Cioè non una merda merda, penso sempre che potrebbe andare peggio, perché quando inizi la chemio ti spiegano quali sono gli effetti collaterali, a grandi linee, ma per ogni persona è diverso, e comunque ho l'immensa fortuna di dover passare pochissimi giorni al mese in ospedale, quindi tutto sommato tra un terapia e l'altra, posso stare a casa tranquilla.

Nei giorni successivi alla chemio, almeno per i primi cinque giorni, prendo circa 13 pastigliette al giorno e una puntura sottocute, che mi faccio da sola con l'agilità di Christian F e tutto lo zoo di Berlino. 


Tra queste medicine c'è una guerra civile continua tra cortisone e antinausea. Prendendo 4 pastiglie di cortisone al giorno, passo praticamente la mia giornata con una fame, ma una fame, che se incontrassi qualcuno di voi nel momento sbagliato, sarei capace di addentarvi un braccio (non è mai successo, ma non si sa mai!). Questo però combatte, da quando mi alzo a quando mi corico, con la nausea. Insomma, se non ho fame ho la nausea, e ci sono momenti in cui non riesco nemmeno a distinguere le due cose e, nel dubbio, mangio.


Un altro simpatico effetto collaterale del cortisone è la tachicardia.
Presente quando avete 16 anni, siete innamorati, e tra i corridoi di scuola passa quella persona per cui il vostro cuore palpita e le farfalle vi svolazzano nello stomaco? Ecco. Io mi sento proprio così, peccato che mi capiti prima di coricarmi la sera, il batticuore pare l'inizio di un infarto e le farfalle nello stomaco possano essere o le farfalle al pesto della cena che non digerisco o la nausea pre-nanna.

Na favola, come vi dicevo.


A questo si aggiunge anche il fastidio che non si può vedere, quello nella testa.
La cosa che più temevo, prima di iniziare, era la stanchezza. Avevo paura di essere troppo stanca per vivere la mia quotidianità, pensando che la terapia mi avrebbe debilitato a tal punto da dover chiedere continuamente agli altri di aiutarmi. E io ODIO chiedere aiuto. Amo la mia indipendenza, fare le mie cose quando voglio io, come dico io.
Così non è stato, per fortuna. O almeno, non in maniera così pesante.
La stanchezza di cui tutti mi avevano parlato, oltre che fisica, è per lo più mentale. Io avrei dovuto dare un esame a settembre, ma non riuscivo minimamente a concentrarmi (sarà anche il fatto che sociologia delle religioni sia, in effetti, un esame dimmerda). Oppure capitava spesso che anche solo l'idea di uscire, fare cose, vedere gente, prendere la macchina, mi buttasse proprio un macigno addosso, e decidevo quindi di stare a casa, davanti al mio recupero di Game of Thrones con Pepe.



Ma la cosa peggiore, per me, è stata la fragilità.
Già di mio sono una persona che si scalda per niente, permalosa e instabile. In questa situazione assumo anche le sembianze di una donna incinta in piena crisi ormonale che piange davanti alle pubblicità (come se non l'avessi mai fatto anche quando ero sana in semplice fase premestruo, no no, mai fatto). Basta niente, un piccolo incidente, qualcosa che mi cade dalle mani, qualcosa che non funziona, una parola sbagliata, detta con il tono sbagliato, ed è il dramma. Perché in quei momenti tutto è nero, niente funziona e sembra che non ci sia mai fine alle cose che mi fanno stare male. Poi passa eh, basta un abbraccio, una parola d'amore, una battuta da parte di un amico, o semplicemente la consapevolezza che se non mi rialzo da sola, nessuno verrà a salvarmi.

L'episodio emblematico di questo stato d'animo è successo quando cercavo di tagliarmi i capelli.
Ero a 3/4 di testa e la macchinetta all'improvviso si rompe. 
DRAMMA.
Già il momento non era dei più felici, mi ero alzata con la nausea, stanca per essermi svegliata alle sei senza più riuscire a dormire, più anche questa, non c'è mai niente che vada per il verso giusto, mai.
Non so quanto sono rimasta sul pavimento del bagno quel giorno, mezz'ora, un'ora, non ne ho idea. Non c'era nessuno a casa, quindi o alzavo il culo, o rimanevo a piangermi addosso in attesa dell'illuminazione divina, ma vista la quantità di bestemmie che avevo tirato contro la macchinetta malfunzionante, dubito che avrei assistito a qualsivoglia intervento divino. 
E che si fa? 
Niente, si trova la forza, ci si asciuga le lacrime e si cerca una soluzione. Mi sono alzata, ho cercato in tutta la casa qualche aggeggio per sistemare la macchinetta e, non riuscendo nel mio art attak, ho preso la macchinetta della barba e ho finito di spelacchiarmi. Non è intervenuto nessun Dio a darmi la forza, né niente altro di angelico o sovrannaturale, la forza l'ho trovata da me, facendo una fatica pazzesca, andando contro quello che la mia mente mi diceva e cercando qualche motivo per superare anche quel patetico momento di tristezza.

Dopo i primi giorni, il resto del mese scorre tranquillo. La nausea diventa sporadica, il cortisone finisce nel dimenticatoio fino alla prossima terapia, e al massimo mi tocca qualche sbalzo d'umore. Ma, ehi, alla fine è tutta la vita che convivo con la mia instabilità, che sarà mai!



Il punto più alto dei miei 21 giorni, è sicuramente stata la mia notte al pronto soccorso di Chivasso, passata sulla barella dolorante, nel corridoio più rumoroso della zona Joongla di Apolide. A destra avevo Pumba che russava come un trattore, a sinistra avevo un uomo sulla cinquantina che si lamentava come se fosse in procinto di partorire "ahia, ahia, muoio, infermieraaaa, ho maleeee, infermieraaaaa". Il mattino dopo ho scoperto che aveva solo una colica renale. Meno male che ci sono gli uomini duri che ci salveranno e sopportano il dolore con forza e virilità. E soprattutto IN SILENZIO.
Ringraziamo l'ospitalità del pronto soccorso di Chivasso, che non consiglierei nemmeno al mio peggior nemico, letti comodissimi, stanze un po' rumorose, servizio un po' scadente, ringraziamo per la vacanzina dall'esito totalmente inutile, e torniamo a casa a recuperare una notte di sonno. Responso della visita? Non si sa.
"Ora sta bene no? E allora non si preoccupi, se sta di nuovo male torna qui", cit. Dottore che mi ha visitato il mattino successivo. Caspita, ci hai scritto una tesi di laurea su questo modo per elaborare una diagnosi? No, perché secondo me meriti almeno una seconda laurea.



Tutto passa.
Passano gli effetti del cortisone e le serate senza alcol.
Passa il male alle ossa delle punture per i globuli bianchi.
Passano i giorni che mi separano dall'inizio di una nuova avventura nella nostra nuova casa, passano i pomeriggi a inscatolare libri, passa il trasloco sul trattore.
Passano i drammi pieni di lacrime e i giorni neri come il carbone, passano le risate fino alle lacrime con gli amici, passano momenti di coppia davvero difficili.
Passano 21 giorni, passano di nuovo otto ore in sala d'attesa tra i prelievi del sangue e la visita di controllo ,dalla quale non spuntano novità rilevanti e fissiamo la prima tac a fine ottobre. Basta aspettare.



E sono di nuovo al COES, stanza 22 letto A, terzo giorno di terapia.
Sono sempre stata fortunata, i miei vicini di letto non erano mai particolarmente chiacchieroni. Non ho voglia di parlare. Parlo sempre e di continuo per tutto il resto delle mie giornate, quando ho la flebo al braccio e l'antistaminico nel sangue, voglio solo dormire. Oggi mi è andata male. Oserei quasi dire che sia andata peggio a Luca. La moglie del mio vicino, che giustamente ronfa come se non ci fosse un domani, è la classica madamina piemontese che non vede l'ora di chiacchierare e raccontarti tutta la sua vita e farti mille domande sulla tua, sulla malattia e sui miei meravigliosi unicorni. Se io fossi stata in lui, avrei finto di parlare solo in napoletano per evitare questa noia, ma lui è palesemente meno asociale di me, o forse solo più educato, e ora si sta subendo un racconto dettagliato sui testicoli del marito della signora e di come hanno scoperto il mostriciattolo dentro di lui.



È passata anche la mia dottoressa tenerissima e adorabile, dicendomi che i risultati del laboratorio sul blocchetto di tessuto malato, arrivato dall'India dopo SOLO due mesi e mezzo, hanno confermato l'istologico che avevano fatto in India. Il linfomerda è "vivace", come lo definisce lei, e questo indice di crescita potrebbe darci dei problemini. Non ci resta che aspettare halloween, quando la tac ci mostrerà se la R-Chop sta facendo il suo lavoro, o se non sia il caso di cambiare terapia e aggiungere un ciclo.
Finger crossed.



Nei prossimi giorni ho mille cose da fare, che ovviamente escluderanno gli alcolici dalle mie serate e riempiranno il mio portapastiglie di tante pilloline colorate, e la mia unica speranza è viverla un po' più serenamente di quello che sono stati gli ultimi infernali venti giorni.
Oddio, tranquilla, ma non troppo. Questa vita da casalinga nella casa nuova non fa proprio per me. Ragazze, ma come fate a stare a casa tutto il giorno? Per forza che le casalinghe fanno tanti figli, almeno si tengono occupate con qualcosa che non sia pulire o cucinare. Mi annoio così tanto senza internet che, ieri, stavo addirittura comprando della lana per iniziare una sciarpa ai ferri per l'inverno.
E improvvisamente era il mio centoduesimo compleanno.


Chiudo questo post con tre grandi richieste:

1. Suggeritemi cose da vedere/fare che non implichino l'uso di soldi o un wifi, prima che io impazzisca e diventi una pancina (e non per il mio bimbo di 95 mesi, ma per la pancina che mi sta venendo a forza di mangiare come una scrofa piatti super elaborati, da brava casalinga quale sono diventata). Escludo anche attività culinarie, visto che anche gli altri due stanno diventando pancini, e l'attività fisica perché annoiata sì, ma ho pur sempre il culo pesante e lo sport tello te.


2. Per fare la brava malaticcia casalinga, mantenuta dall'Inps (anche se sti soldi dall'Inps ancora li devo vedere), c'è bisogno che almeno il mio uomo pancino lavori, visto che è venuto dal centro Africa apposta per accudirmi. Aiutatemi a dimostrargli che Torino è una città civilizzata e piena di opportunità di lavoro per i meridionali, perché ci stiamo rendendo conto che la vita lavorativa qui non è facile come a Londra. Nemmeno se hai tanta voglia di lavorare e non hai paura di farti il culo. Se sentite qualcosa, se conoscete qualcuno, se sapete che dove lavorate cercano, scrivetemi in privato, ve ne sarò eternamente grata.


3. Venite a trovarmi! La casa nuova è stata ribattezzata CasaPunk, in onore del mio nuovo gruppo preferito, i Canapunk. Abbiamo anche messo un adesivo sfigato sul campanello, in attesa della targhetta vera, anche se mi piange il cuore non poter più dire "suonate ai rumeni". Quindi, sah, io ho un sacco di tempo per preparare tanti dolcini, e visto che non posso avere un fratello e un fidanzato obesi, bisognerà pure che questi dolci li mangi qualcuno, no?

Vi aspetto per merenda, la seconda colazione, l'aperitivo... insomma sono un Hobbit, sapete che noi mangiamo tutto il giorno, quindi regolatevi!



E anche gli aforismi trovati a caso su Facebook ci ricordano che: #nonsimollauncazzo

sabato 2 settembre 2017

Che ci fai in ospedale? Il lungo viaggio dall'India alle Molinette di Torino.

Innanzitutto, io vorrei iniziare con un
GRAZIE.


In questi giorni ho ricevuto così tanti messaggi, da persone che non sentivo/vedevo da anni, sinceramente interessate per la mia salute, e questo mi riempie il cuore, o comunque ripristina un pochino la mia disillusione nei confronti dell'umanità.
Soprattutto vorrei dirvi che, come ho risposto a molti, non esistono messaggi banali, stupidi, scontati,. Quando una persona sta male, anche solo ricevere una scemenza, un qualcosa che la faccia ridere, sapere che ha l'appoggio degli amici, che qualcuno ti pensa, non è MAI banale o stupido o scontato.

Detto questo, non avrei mai pensato che pubblicando le mie solite disavventure su Facebook, così tante persone si sarebbero preoccupate per la mia salute, anche perchè di solito a parte mia mamma e un ristretto gruppo di amici, nessuno legge davvero quello che scrivo. Quindi non mi sono preoccupata più di tanto che avrei allarmato persone che non conoscevano la mia situazione.
All'inizio non volevo farlo, mettermi a scrivere pubblicamente "ciao, sto male" perchè non avevo voglia di attirare attenzione, non avevo voglia di parlarne né tantomeno di pensarci.

Poi, pochi giorni fa, mentre cercavo qualche informazione nel magico mondo di internette, ho trovato il blog di una ragazza fantastica, che ha affrontato una cosa diecimilioni di volte più brutta di quella che sta capitando a me, e in una notte mi sono letta tutti e quattro gli anni della sua lotta, scritti scrupolosamente, in maniera ironica, divertente, a volte cruda e spietatamente onesta, e ho visto quanto lo scrivere e il condividere sia d'aiuto in questi casi.
Il mio primo grazie va a te, Anna Lisa, che hai condiviso con il mondo intero la tua lotta. E anche se questa malattia di merda ti ha vinta, secondo me la vita l'hai vinta te con il tuo modo di affrontarla.
(Se volete leggere anche voi il suo blog, o informarvi sull'associazione a lei dedicata, trovate tutto CLICCANDO QUI )

Ma quindi, cosa ci faccio sempre in ospedale?
C'è da dire che alle Molinette c'è una quantità di manzi esagerata (che, ovviamente, secondo il Napoli sono tutti gay!), ma purtroppo non è la ragione principale per la quale sono sempre lì.

Il mio racconto comincia in una terra lontana e assolata, a Chennai, in India.
Per chi non lo sapesse, prima di questa estate di merda, io avevo dei progetti fantastici per questi mesi.
A metà giugno sono andata in India con AIESEC per ben due progetti fantastici, entrambi riguardanti i diritti umani.
Il primo a Chennai, che è qui:

con un'organizzazione che si chiama Nirangal e si occupa dei diritti della comunità LGBT (in maniera specifica dei transessuali) in India, che come potete immaginare non è ancora integrata ed accettata come in occidente (e per quante falle ci siano nel sistema occidentale, credetemi, ci sono anni luce di differenze culturali radicate in onore e tradizioni secolari). Qui, il mio compito sarebbe stato occuparmi dell'organizzazione del Pride, del quale avrete sicuramente visto le foto sul mio profilo, documentare le varie manifestazioni, incontri, conferenze tra l'ambasciata USA e l'organizzazione, organizzare l'Internazional Queer Festival e promuovere, all'interno delle scuole, i diritti LGBT tra i ragazzi, aiutandoli tramite dei laboratori e seminari, a capire che non c'è nulla di sbagliato nell'essere gay, che hanno dei diritti come tutti gli altri, e aiutarli verso l'accettazione di sé.
Questo per 6 settimane.

Il secondo progetto era a New Delhi. Qui mi sarei occupata di diritti delle donne, principalmente in un progetto che si chiama "Women's Empowerment", essendo assolutamente convinta che il potere viene dalla conoscenza, per emanciparsi c'è bisogno della cultura. Il mio lavoro, qui, sarebbe stato quello di aiutare le donne delle caste più basse, o senza possibilità economiche per istruirsi, offrendo loro un'istruzione base di inglese, matematica, economia e tutte queste cose che potrebbero aiutarle a rendersi indipendenti, aprirsi una piccola attività e così via. Questo per 4 settimane.
Lavorando solo in settimana, questo mi avrebbe permesso di avere tutti i weekend liberi per poter esplorare l'India, e avevo già programmato di passarne uno a vedere il Taj Mahal, uno a Varanasi per vedere l'alba sul Gange. Tra un progetto a l'altro pensavo di poter vedere Bangalore, e passare un paio di giorni anche a Mumbai.

Dopo aver finito di girovagare per l'India (anche perchè nel frattempo mi scade il visto che durava solo 3 mesi), avrei preso un aereo, direzione Kathmandu, per visitare la città e dirigermi successivamente al Monastero Kopan, dove avrei vissuto per due settimane, senza mezzi tecnologici telefono o connessione internet, a seguire un corso sul Buddhismo tra lezioni teoriche e pratiche.
E poi sarei finalmente tornata a casa.

FIGATA VERO?

Eh, il cazzo.

Dopo le prime settimane a Chennai, una mattina mi sveglio con un male all'addome indescrivibile, corro nell'ospedale che l'assicurazione mi aveva suggerito e mi ricoverano.
Piccolo intermezzo, consiglio non richiesto ma importantissimo:

RAGA, QUANDO VIAGGIATE FATE SEMPRE, SEMPRE 
SEMPRE 
L'ASSICURAZIONE. VI PREGO, FATELO 
(più avanti capirete il perchè)

Mi ricoverano per una presunta appendicite. Presunta perchè c'è qualcosa nel mio addome che impedisce ai medici di vedere chiaramente gli organi sottostanti, e nessuno capisce cosa sia.
Un piccolo interventino che sarebbe dovuto essere in laparoscopia (quello dove ti fanno i buchini e non ti aprono come un porceddu sardo) e durare una ventina di minuti. Avviso amici e parenti di stare tranquilli, che è una cosa da niente, e che ci saremmo sentiti di lì a poco.
Mi risveglio nella mia stanza, in terapia intensiva, non so bene quante ore dopo perchè l'anestesia è potentissima e sono imbottita di morfina. Ho un sondino nasogastrico, la maschera dell'ossigeno senza la quale non riesco nemmeno a parlare, una fasciatura che mi parte da sotto il seno e arriva fino all'inguine, due cateteri, e male, MALISSIMO ovunque. Ma tanto non posso fare altro che dormire, perchè quando chiedo all'infermiera che diamine mi sia successo o che ore siano, mi risponde che sono le due di notte e che domani il dottore mi avrebbe spiegato tutto.

Il giorno dopo il chirurgo che mi ha operata, praticamente il sosia indiano di Sir Pilade 

mi comunica, tutto allegrotto, che mi hanno rimosso l'appendice. Insieme all'appendice, che comunque avrebbero anche potuto lasciar lì (la mia faccia in quel momento, la potrete anche immaginare), hanno rimosso una massa di più di 10cm di diametro, e la relativa parte di intestino in cui questa merdina era cresciuta, facendo un bel taglia e cuci e riattaccandolo ad un altro pezzo di intestino, per fare questo ovviamente hanno dovuto aprirmi l'addome, lasciandomi una simpaticissima cicatrice lunga circa una spanna. E finisce la spiegazione sulla massa con un bel "do you wanna see it? I took a picture" (Vuoi vederla? Ho fatto una foto). E sticazzi, NO. 
A quanto pare, il simpatico indian Pilade ha fatto vedere a tutti i miei amici, tronfio d'orgoglio, la palla che mi ha levato dalla pancia, e ora ci teneva tantissimo a farla vedere anche a me.

Il mio primo pensiero, in tutta questa situazione di disagio, è stata la mia famiglia, il mio ragazzo, i miei amici, che non avevano mie notizie da più di 12ore.
Io in quel primo giorno sono stata male, ma proprio male, perchè volevo solo il mio telefono. La mia unica preoccupazione era parlare con le persone che amo, rassicurarle sul fatto che ero viva, che stavo più o meno bene, e che non vedevo l'ora di tornare a casa.
Invece quella simpatica idiota della mia responsabile, quando all'orario di pranzo è venuta a farmi visita, ha pensato bene di lasciare il mio telefono a casa.
MA CI STAI DENTRO, PORCO GIUDA?
Ho dovuto aspettare fino a tarda sera, all'orario di visita serale, per poter comunicare con tutti, questo vuol dire che non li sentivo ormai da circa 24ore.
Tutti i miei amici più stretti mi avevano sommerso di messaggi, alcuni avevano scritto a mia mamma su facebook, gli altri hanno solo aspettato con l'ansia addosso, e mi dispiace davvero.

Ho passato circa una settimana in terapia intensiva. Quel reparto non aveva niente da invidiare a Grey's Anatomy, avevo la mia stanzetta singola, con un'infermiera a mia disposizione 24/7. Piano piano, mi fanno una lenta riabilitazione per respirare da sola senza ossigeno, inizio una dieta liquida a base di succhi di frutta alla mela (che schifo), acqua di cocco (CHE SCHIFO), limonata e brodino. Ricomincio a camminare, con il supporto di una fascia elastica, e fa male, una male pazzesco.

E poi il dramma: l'assicurazione non riesce a comunicare con l'ospedale. I ragazzi di AIESEC si sono occupati di tutta la parte burocratica del mio ricovero, essendo il primo ospedale privato della città, i costi sono esorbitanti anche per essere in India, ma per mia fortuna ho stipulato l'assicurazione, o almeno così credevo. Esce fuori che l'ospedale non riconosce la mia assicurazione internazionale, e mi manda una prima parcella: 5mila euro. Ottimo, come se non fosse già abbastanza difficile il mio recupero, mi sale anche l'ansia per questa montagna di soldi che ovviamente non ho. 
In più devo essere trasferita in stanza. Ogni stanza ha il suo prezzo, e non essendo sicura che sarei riuscita a parlare con l'assicurazione e risolvere questa situazione, scelgo la stanza dei poveri, quella insieme a sei persone. 
E si passa da Grey's Anatomy ai lazzaretti della peste descritti nei Promessi Sposi. Quando ho visto quella stanza ho pensato "bene, sono sopravvissuta ad un operazione ad addome aperto, una trasfusione di sangue, sto iniziando a recuperare le forze e morirò per colpa di un'infezione in questo buco di culo di stanza". Intanto i miei genitori mi pressavano dall'Italia, mobilitavamo Consolati, Ambasciate, Farnesina (che marò spostatevi proprio), i ragazzi di AIESEC India facevano chiamate in Olanda, Germania, Italia per capire quale fosse la sede dell'assicurazione alla quale dovevano rivolgersi. E dall'ufficio dell'ospedale arrivava il mio foglio delle dimissioni con la parcella, totale: 10mila euro. 
Vabbè, lasciatemi qua a morire, cosa succederà mai se non pago? 
Una lotta contro il tempo, mi vogliono dimettere, ma non abbiamo ancora sta maledetta assicurazione. Il giorno prima delle dimissioni riusciamo a contattare la sede in Germania, che ci assicura che tutto sarebbe stato risolto. Però entra in gioco il fattore fuso orario. Quando gli uffici in Germania sono aperti, quelli dell'ospedale sono chiusi e viceversa. Il mattino delle mie dimissioni, non so per quale miracolo, dall'ufficio in Germania riescono a comunicare con quello dell'ospedale, pagheranno tutto loro. Sono 
LIBERA.
Libera di uscire senza mutande dall'ospedale.
Sì, perchè quella simpatica idiota della mia responsabile, dalla quale vivevo, non è potuta venire a prendermi, e va bene, comprensibile. Però si è anche dimenticata, nei giorni precedenti, di portare a me, o alla ragazza che mi avrebbe accompagnata, della biancheria intima. Quindi la ragazza gentilissima e amorevole che mi ha aiutata con le dimissioni, mi ha portato dei suoi vestiti per uscire, ma ovviamente non aveva con sè mutande o reggiseno.

VI RENDETE CONTO DI QUANTO POSSA ARRIVARE IN BASSO LA MIA VITA?


Ma non importa.
Sono fuori.
Sono libera di prenotare un aereo e andarmene affanculo il più lontano possibile da qui, tornare a casa e abbracciare la mia famiglia. Avrei solo dovuto aspettare 15-20 giorni, perchè con una ferita del genere non era sicuro volare. Certo, camminavo come una storpia, lenta come una tartaruga centenaria, dolorante per la ferita, ma in fondo andava tutto bene. I miei mi avevano prenotato un albergo per passare gli ultimi giorni in India un po' più al comodo rispetto alla panca di legno nella casa senza frigo dove stavo (vi siete persi il mio blog sull'India? ECCOLO CLICCANDO QUI), tutto andava bene.

Il giorno dopo le mie dimissioni, sono andata a ritirare il referto istologico, dove avremmo finalmente capito cos'era quella palla, dopodichè tanti saluti e baci, non avrei più visto un ospedale indiano in vita mia.

Ecco.

Quello è probabilmente stato uno dei giorni più brutti della mia vita.
La sera prima, leggendo il referto del medico sulle dimissioni, nelle probabili cause della massa, avevo letto "tubercolosi addominale o cancro", ed ero abbastanza impanicata, ma cercavo di mantenere la calma, non dicendo nulla a nessuno, se non al Napoli, che comunque mi aveva tranquillizzata dicendomi che erano solo supposizioni e sicuramente c'era una terza opzione.

Purtroppo no.
Il referto era tutto in inglese, ovviamente. E per quanto io abbia tradotto Grey's Anatomy dall'audio un sacco di volte, ero comunque limitata nella comprensione di una cosa del genere.
L'unica cosa che capivo, era una parola che non avrei mai voluto leggere: LYMPHOMA.

Il dottore mi spiega che quella palla gigante nient'altro era che un linfoma.

E che minchia è un linfoma? 

Per quanto io sia mega infoiata con i telefilm medici, non è che abbia tutta questa conoscenza adeguata, ancora oggi, dopo che me l'hanno spiegato sia in India sia in italiano, continuo ad avere molti dubbi a proposito.
Mi spiegano che un linfoma è un cancro del sangue, che i linfociti (che aiutano il corpo a difendersi dalle infezioni) impazziscono e creano dei linfomi, che viaggiano fino ai linfonodi facendoli ingrossare. Il problema, o meglio i problemi sono che i linfonodi sono ovunque nel corpo, ce ne sono centinaia, quindi i linfomi che hanno trovato nel mio addome, potrebbero essersi spostati in altri linfonodi, infettandoli, o addirittura essere arrivati al midollo. Indian Pilade mi spiega che lui ha rimosso tutto quello che ha potuto vedere ad occhio nudo, ma che devo iniziare una chemioterapia il prima possibile.

Mentre tutto questo mi veniva comunicato, io non ero propriamente io. 
Non pensi mai di poter avere un cancro, finchè non te ne viene uno. Io ho sempre pensato che fosse una cosa che accade nei libri di Nicholas Sparks, nei film tristi, ai nonni quando sono tanto anziani, agli altri in generale. Non a ME. 
Perchè a me?
Quando ti danno una notizia del genere, nella tua mente è il caos. Più pensavo e più mi veniva da piangere, e più avrei voluto un abbraccio dalle persone che amo. Non ero sola, c'erano la simpatica idiota della mia responsabile e la ragazza dolcissima che mi ha prestato i vestiti all'uscita dall'ospedale. 
Ma non era la stessa cosa.

Io pensavo, e pensavo, e pensavo.
Pensavo che volevo tornare a casa.
Pensavo che avrei dovuto abbandonare tutto, addio India, addio estate alla ricerca delle risposte che cercavo, addio Nepal, addio progetti.
Pensavo che a ottobre avevo dei progetti di una convivenza con la persona che amo.
Pensavo a come l'avrei detto a tutti.
Pensavo ai miei genitori, alla mia famiglia, al Napoli, a tutte le persone la cui vita sarebbe stata scombussolata da questa notizia.
Pensavo che mi sentivo in colpa da morire, senza nessuna ragione apparente, ma era tutta colpa mia se le persone attorno a me avrebbero sofferto per una mia condizione fisica.
Pensavo, mi chiedevo, ma di linfoma si muore?

Così, in questo stato di totale trans, estraniata dal mio corpo, cercando di trattenere malamente le lacrime e sommergendo Indian Pilade di domande, lui cercava di darmi tutte le risposte che poteva, ma non essendo un oncologo, le sue erano comunque risposte limitate. Mi scrisse una lettera, da portare ad un suo caro amico oncologo in un altro ospedale della città, per far sì che potesse visitarmi immediatamente senza appuntamento, e mi saluta augurandomi ogni fortuna nella vita, perchè io ero un uragano dalla forza pazzesca, e se non lo sapeva lui che mi ha messo le mani nella pancia per due ore, chi altro avrebbe dovuto saperlo? (giuro, ha detto così, e mi ha anche richiesto se fossi sicura di non voler vedere la massa che mi ha tolto dalla pancia, che amorino).

Dopo la visita dall'amico oncologo, mi comunica che avrei fatto subito tutti gli esami, tac, pet, biopsia ossea, il giorno dopo. Alla modica cifra di mille euro. Non essendo ricoverata, l'assicurazione non avrebbe potuto pagare subito, quindi avrei dovuto anticiparli io per poi ottenere un rimborso dall'assicurazione stessa.
Grazie, rifiuto l'offerta e vado a casa.

I giorni precedenti alla mia partenza sono stati un po' una merda. La prima persona a cui l'ho detto è stato mio fratello. Non potevo dirlo ai miei, non per messaggio, e questa è stata la mia preoccupazione maggiore per tutto il tempo, come l'avrei detto ai miei genitori?
I 15-20 giorni indispensabili prima della partenza, per evitare traumi post-operatori, sono diventati 7, dopo una settimana sono partita. Avevo letto qualcosa su internet dei motivi per i quali sarebbe stato meglio aspettare dopo un'operazione, qualcosa che aveva a che fare con la pressione dell'aria, del sangue, dell'ossigeno, boh, io sono sempre stata una capra in fisica. Temevo solo che l'aria nella mia pancia, ad alta pressione, mi avrebbe fatto esplodere come un kamikaze. E va beh, almeno sarei stata ricordata per qualcosa.
Un volo da Chennai ad Abu Dhabi. 
Due ore di scalo.
Altre sette ore da Abu Dhabi a Milano.

La gioia di rivedere i miei genitori all'aeroporto, riabbracciarli dopo tutta questa merda, penso sia indescrivibile. Se non sono scoppiata in volo per colpa della pressione, sarei scoppiata a Malpensa, ma per la gioia.
Dopo le comunicazioni importanti, di corsa dal mio medico di famiglia che mi prenota per il giorno successivo una visita al COES delle Molinette, dove, tramite il CAS, sarei entrata nel sistema dei pazienti oncologici, avrei avuto tutte le esenzioni, loro avrebbero pensato a prenotarmi tutte le future visite e mi avrebbero solo comunicato telefonicamente le date. Io sono la prima a insultare la sanità pubblica, ma mi veniva quasi da piangere a pensare a quanto mi sentivo a casa.

Da quel giorno è iniziato il mio percorso per curare il linfoma di merda, anche rinominato linfomerda.
La mia ematologa è una persona dolcissima, mega easy e disponibile a rispondere a tutte le mie domande, inclusa "ma potrò bere nei giorni successivi alle chemio?" e soprattutto "posso usare l'erba, a scopo terapeutico, ovviamente?".
Dopo tac, pet, biopsia ossea (che vi assicuro è un esame dimmerda, ma dimmerda che non posso nemmeno descriverlo, è come se uno sturalavandini vi ciucciasse la linfa dalle ossa, una sensazione disgustosa), scopriamo che i linfomerda sono sempre lì. Quelli che mi avevano tolti sono ricresciuti, che ha la capacità di crescita del 95%, che è un linfoma non Hodgkin a grandi cellule e che sono sparsi un po' dappertutto nell'addome, ma per fortuna SOLO nell'addome. Il midollo è pulito, così come il resto dei linfonodi del mio corpo, per fortuna.
Dottoressa adorabile mi spiega subito che devo stare tranquilla, che è trattabile, che si guarisce nel 95% dei casi, che è comune nei giovani e in quel tratto di intestino, che non si sa perchè vengano, che non dipende dal mio stile di vita, da quel che mangio o bevo, che come tutti i tumori viene e bom.

Mi spiega che la chemio potrebbe danneggiare le mie ovaie, rendendomi sterile. Questo accade nel 5% dei casi, ma ci sono dei programmi sperimentali, chiamati Fertisave, che permettono alle persone sotto terapia, di salvaguardare la loro fertilità congelando ovuli o spermatozoi e che è una proceduta gratuita. Inizio quindi anche questa avventura, fatta di iniezioni giornaliere di ormoni, di due visite a settimana al Sant'Anna, ecografie interne, visite varie. Scopro che così gratuita non è, visto che le punture hanno un costo di 60€ l'una, e ne devo fare un bel po'. Mi ritrovo da un giorno all'altro a dover decidere se l'eventualità di diventare madre in un futuro, valga effettivamente un bel po' di soldi, io che sono sempre stata restia a vedere la maternità come parte della mia vita. Però fanculo, non posso fare in modo che un po' di soldi e linfomerda mi impediscano di mettere al mondo dei piccoli geni del male col mio DNA, l'acidità nelle vene e gli occhi azzurri, spendo sti soldi. Il giorno dell'estrazione riusciamo a prelevare e congelare 5 dei miei ovetti, e speriamo di non averne mai bisogno.

Abbiamo iniziato la terapia, che è una R-Chop, una chemioterapia insieme all'immunoterapia, che fondamentalmente serve a dare una svegliata al mio sistema immunitario per far sì che riconosca ed elimini queste cose il prima possibile. Saranno sei cicli, uno ogni 21 giorni, alla fine dei quali speriamo di aver eliminato linfomerda.

Il primo ciclo è avvenuto in due giorni, e per fortuna avevo il Napoli con me, che pazientemente ha assistito ai miei scleri, ai miei sbalzi d'umore e a tutti i miei crolli emotivi senza fiatare e con una pazienza di un Santo. 
Il primo giorno sono stata sei ore a fare l'iniezione dell'immunoterapia. È durata così tanto perchè bisogna controllare come il corpo risponde, visto che le reazioni allergiche sono molto comuni.
Pensate sia andato tutto bene? No, ovviamente.
Ho avuto una reazione allergica respiratoria, dopo due ore e tanto cortisone/antistaminico, abbiamo ripreso la flebo, e dopo 8 lunghissime ore siamo usciti dall'ospedale.

Giorno due, prima chemio, mi spiegano come funziona la Chop, quali farmaci ci sono dentro. Mi dicono che quello rosso è il più aggressivo, che mi farà fare un po' di pipì rosa e sarà lui a farmi cadere i capelli. Questa volta per le due siamo fuori, e ho un solo pensiero: andiamo al mare.

Dopo due giorni così, ci aspettavano le vacanze, che mai avrei pensato di fare. Dopo tutto il mese di luglio e l'inizio di agosto passati in ospedale, almeno tre giorni a settimana, non speravo nemmeno di vederlo, il mare. Anzi, pensavo che dopo la terapia avrei avuto tutta la nausea del mondo nelle quattro ore di macchina che ci aspettavano, e ci saremmo dovuti fermare ad ogni piazzola di sosta per vedere l'esorcista che è in me.
Invece, avendo preventivamente preso tre antinausea (ops), tutto è filato liscio, le mie due settimane di mare sono state all'insegna della tranquillità, del cortisone che mi ha impedito di bere a ferragosto, delle punture di globuli bianchi che mi davano dolori lancinanti alla schiena prima di dormire, e delle nottate passate a fare tantissima pipì ogni due ore. Ma a parte questo, non posso proprio lamentarmi, niente vomito, niente nausee improvvise, niente febbre.

Il secondo ciclo di chemio è stato ieri, questa volta ad accompagnarmi è stata la mia mamma, e mi hanno inserito il PICC.
Il PICC, che dovrò tenere per tutta la terapia, è una canulina, una piccola cannuccia, che viene infilata nel braccio e va fino al cuore, al quale viene attaccato un pirulo che pende dal braccio. Questo pirulo servirà sia a fare i prelievi del sangue, sia ad attaccarci le flebo della terapia. Praticamente è funzionale al fatto che non dovranno più bucarmi e devastarmi le vene ogni volta, perchè si farà tutto tramite pirulo.

Sto bene, cioè potrei stare meglio, ma sto bene. 
Ho rinunciato ad un progetto fantastico a migliaia di km da qui, in questo preciso istante sarei dovuta atterrare in Nepal. Non nego che soffro tantissimo per questa cosa. 
E per gli elefantini. Perchè porca miseria, io volevo vedere gli elefantini.
Però è andata così.
Ho un concetto molto particolare di karma, e questa volta sono piuttosto amareggiata. 
Non lo vedo come qualcosa che agisce attraverso le vite passate, ma come qualcosa dai risvolti quasi cristiani. Ho sempre pensato che se tu sei gentile, fai le cose per gli altri, aiuti il prossimo, cerchi di vivere la vita secondo il concetto "fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te", allora la vita ti avrebbe ripagato nello stesso modo. A me è successo il contrario, vado in India per aiutare gli altri, e torno a casa con un linfomerda. Certo, lui era lì in agguato da mesi senza avermi dato nessun sintomo, però ancora sto cercando un senso a tutto questo. Perchè da qualche parte c'è. Mi aiuta pensare alle parole che mi ha detto un'infermiera gentile il primo giorno di ricovero nel dayhospital delle Molinette "io non so perchè succedano queste cose, però devi vederla così: tu non sei malata, tu hai una malattia. Questo è importante che tu capisca, perchè la malattia non sei tu, è una cosa esterna e se ne andrà"


Ecco la maxi storia di come la mia vita è cambiata, capovolta, sottosopra sia finita. 
Ora tutti sapete perchè sono sempre in ospedale, circondata da manzi bellissimi che somigliano a Ciro di Gomorra (tanti cuori!)

Se siete arrivati a leggere fin qui, complimenti, non avete vinto niente. Se non un abbraccio quando vi vedrò di persona, perchè vuol dire che allora vi interessava davvero sapere cosa mi è successo. Commentate su facebook con la parola ABBRACCIO e in omaggio divertenti temi e suonerie, e un abbraccio vero.
Vi aggiorno, promesso.
Perchè so che a tutti piace ficcanasare nei fatti degli altri, e a me serve condividere le mie sventure.
Così facciamo felici tutti e vualà.

Io vado avanti, e #nonsimollauncazzo