london bridge

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venerdì 30 giugno 2023

Dove la mia voce non arriva, spero ti arrivi il mio pensiero, ovunque tu sia.

 

Sono abituata ad andare a trovare mia nonna in casa di riposo da alcuni anni, ormai. Ma quel giorno è stato diverso. La persona che ho visto, con cui ho parlato, non era più mia nonna Rita. Quel giorno per la prima volta, non ho riconosciuto quegli occhi vispi, un po’ inquisitori, sempre pronti a qualche commento “hai preso peso? Hai perso troppo peso?”, quei commenti che mi hanno sempre dato fastidio detti da chiunque, tranne che da lei. Perché ormai con la nonna era una causa persa, è riuscita a dirmi anche che sembravo ingrassata, ad un mese dal parto. Ma lì, quel giorno no. Avevo davanti qualcuno che si perdeva nei suoi discorsi, che non sapeva bene che ore fossero, che mi guardava quando parlavo, ma in realtà aveva lo sguardo altrove. È stata durissima, passare dalla nonna solita, con i suoi commenti, sempre pronta a parlarti di un nuovo acciacco, male qui, male là, a questa nonna, che stentavo a riconoscere. Ho trattenuto quanto più possibile, ingoiando ogni magone che veniva su in quel momento, ho sorriso, ho cercato di farla ridere, ho anche guardato il rosario commentando quanto fosse bellina la città di Lourdes. Poi sono arrivata a casa, e sono scoppiata. “Dov’è finita la nonna?” continuavo a ripetere a Luca. Ma chi non l’ha conosciuta davvero prima, non può capire di che cosa io parlassi.

La nonna di cui parlo, ha sempre avuto una lucidità, ben oltre i 90 anni, che molti trentenni se la sognano.

Nonna Rita per me è sempre stata un’istituzione, il vero pilastro della famiglia, per me, è sempre stata lei. Lei che non te le mandava a dire, che i sassolini nella scarpa se li toglieva tutti, ed è facile che te li lanciasse pure addosso. Ho sempre sentito di essere profondamente in sintonia con lei, perché caratterialmente abbiamo molto in comune (e su questo mio papà risponderebbe “uh signur”).

Nonna Rita, che si è sposata giovanissima, prima ancora dei vent’anni, mi ha sempre ripetuto “non ti sposare mai, rimani single, non rendere conto a nessuno” e allo stesso tempo “ma non fare quelle robe lì di andare a convivere eh, quelle non si fanno”, salvo poi accettare che due suoi nipoti non si siano ancora sposati e abbiano messo comunque su famiglia.

Nonna Rita era così orgogliosa dei suoi cinque bis-nipoti, tutti maschi, che tutta la casa di riposo sapeva di loro. Quando andavo a trovarla, le infermiere e le oss mi chiedevano sempre di quale bimbo io fossi la mamma. Tutte conoscevano Paride, pur avendolo magari visto solo di sfuggita un paio di volte all’esterno, e ogni volta mi sentivo dire quanto la nonna parlasse di lui con gli occhi piedi d’amore. E com’era entusiasta di avere finalmente un altro nipote, oltre a Dario, del segno dei pesci, proprio come lei.

Nonna Rita, quando abitava a casa sua, si faceva il bicchierino di Sambuca prima di andare a dormire. La Regina il gin, e la nonna la sambuca, invecchiare con stile, signori miei.

Nonna Rita ha vissuto la guerra, mi raccontava di quando portava le provviste nei boschi ai partigiani, mi raccontava di quando Mussolini è stato a Volpiano, e di quanto li odiasse tutti “quelli là”.

Nonna Rita non ha mai smesso di dirmi che dovevo studiare, raccontandomi con tristezza di quanto a lei piacesse farlo, di quanto era brava a scuola ma, ahimè, erano altri tempi, c’era bisogno di lavorare. Ogni volta che andavo a trovarla mi chiedeva se stessi studiando, come andavano gli esami, quanto avessi preso e mi ripeteva da capo “studia tu che sei tanto brava, che io non ho potuto”.

Nonna Rita non era solo tra le mie prime fan dei successi scolastici/universitari, ma era anche la mia fan numero uno quando cantavo. Ricordo ancora, e ricorderò per sempre, i suoi occhi lucidi l’ultima volta che è venuta a vedermi cantare al “musical” della Via Crucis, venendomi a salutare mi disse che ogni volta che canto la faccio emozionare al punto di commuoversi. Ecco, per me questo vale come se Beyoncé mi avesse detto che canto meglio di lei, non so se mi spiego.

Nonna Rita, se aveva qualcosa da dirti su un amico/a o un fidanzato che non le piacevano, non si faceva mica problemi a dirtelo, “hai fatto bene a lasciarlo, ti stavi trasformando in una persona che non aveva niente a che vedere con te”, forse le parole più sagge che mi abbia mai detto.

Nonna Rita, quando è mancato nonno Felice, e io ero distrutta dal dolore e dal fatto che per i suoi ultimi mesi io ero a Londra, così lontana dalla gravità della situazione, e non potevo smettere di piangere, mi disse “senti, ora devi fare come gli Anselmo, non come i Contratto, piangi, sfogati, butta tutto fuori finché sei a casa. Poi asciugati le lacrime ed esci a testa alta, e fai vedere al mondo quello che sei”

Nonna Rita non ha saputo del linfoma subito. Ho cercato di tutelarla dal dolore e dalle preoccupazioni di una cosa così grande, proprio in un periodo in cui nonno Gino stava male. Quando hanno iniziato a cadermi i capelli, quando ero completamente pelata, non sono andata a trovarla per un po’. Solo quando ho avuto la certezza che la tac era pulita, dopo la terza chemio, e che i capelli mi stavano rispuntando, sono andata a trovarla a casa, raccontandole tutto, e per lo più assicurandole che le cose stavano andando meglio, mostrandole quei quattro peli spelacchiati in testa. E com’è finita? Che lei piangeva preoccupata, e io, ancora malaticcia, la rassicuravo.

Questa nonna, di cui non smetterei di parlare, raccontando fatti ed aneddoti divertenti, non era più lì. Sembra strano scrivere queste cose, parlando al passato, mentre lei è ancora su questa terra. Ma vederla così assente, persa in un mondo un po’ suo, dopo che per 33 anni l’ho sempre vista lucida, sul pezzo che raga, forse non è chiaro dai miei racconti, ma sul pezzo davvero, è stato per me come accettare il fatto che stava davvero andando via. Ho grossi problemi con l’accettazione della morte, la mia psicologa ci si paga le vacanze alle Maldive ogni anno con i miei traumi legati a questo discorso, e affrontare questi temi porta con sé un bagaglio pesante di assenze, vuoti incolmabili che si vengono a creare nella quotidianità e silenzi pesantissimi che siedono su poltrone vuote nei giorni di festa. Scrivere, un pochino, aiuta. Ricordare i momenti belli, lasciarli per sempre impressi nero su bianco, è la migliore terapia. Permette a chi non c’è più di restare ancora un pochino, di rivivere nei sorrisi di chi leggerà, magari di farsi conoscere da chi non ha avuto modo o tempo di passare dei momenti con quella persona.

Sono passati i giorni, da quella visita particolarmente difficile. Quelle successive non sono andate meglio, non so se la nonna mi capisse, mi ascoltasse, ogni tanto non ero nemmeno sicura che mi sentisse bene. Ma io andavo, chiacchieravo, le tenevo la mano, ogni tanto me la stringeva quando le raccontavo dei bimbi, ogni tanto mi sorrideva e mi rispondeva ancora con lucidità, anche se il più delle volte si perdeva in un labirinto di antidolorifici che non le permettevano di finire una frase. Ma non è questo il modo in cui voglio ricordare la nonna. Sarebbe come guardare un paesaggio bellissimo da un vetro offuscato, un po’ annebbiato, che non ti permette di cogliere tutte quelle sfumature di colore e quei contorni nitidi, magari un po’ imperfetti, che caratterizzano una quella piccola certezza lì, che ti ha accompagnato per tutta la vita.

Ogni volta che la salutavo, lei mi diceva “torni a trovarmi?” – “ma certo nonna che torno, ci vediamo tra qualche giorno” e guardavo quel sorriso mentre andavo via, ogni volta col dolore addosso, cercando di non pensare, alla prossima volta, e nella totale incertezza che ci sarà una prossima volta.

Questo scritto è frutto di diversi gironi, diverse visite. L’ultima, ieri. Le ho sussurrato all’orecchio “hai visto che sono tornata come ti avevo promesso?”, stringendole la mano, come la volta prima. Solo che, a differenza della volta passata, non ha potuto stringermela a sua volta.

La nonna non c’è più. I miei ricordi sono vividi e pieni di cose, racconti e volti, compreso quando aveva indosso quella terribile pelliccia vera che si era comprata con tanto orgoglio. La nonna era tutto questo, e tanto altro ancora, e Paride conoscerà questa nonna bis che era tanto innamorata di lui attraverso le foto e le storie che portiamo nel cuore.

 


 

domenica 15 marzo 2020

Acida cronaca non richiesta della prima settimana di quarantena



Una settimana è andata.



Oh, tosta eh!

In realtà ne avevamo già avuto un mini-assaggio prima di carnevale, ma non eravamo stati a casa così tanto. Lo smart, per me, è una cosa normale, una volta a settimana. Quella volta è una figata, perché ti alzi alle otto invece delle sei, puoi tenere il pigiama finché ti va e fare colazione con calma, coi capelli arruffati e senza trucco. Un giorno, ecco.

Tutti i giorni della settimana è stato alienante.

Ho iniziato a capire perfettamente l’amico Jack
(riferimento altissimo) 

e devo ammettere che più volte mi è partita la brocca. Non proprio come lui, per ora, per fortuna.

Silver Lining: almeno lavorando otto ore al giorno il tempo passa. E devo ammettere che in certe situazioni è molto più macchinoso lavorare con un portatile con lo schermino piccolo, soprattutto quando hai tabelle di Excel che coprono 25 o più colonne. Per non parlare di quando c’è un caso urgente, tu sei al telefono, intanto ti chiamano su Skype, ti mandano le mail con scritto “rispondimi è urgente” e hai altre 3 conversazioni aperte e stavi scrivendo una mail in inglese al tuo corrispettivo francese.
Tutto bene.
Doppio Silver Lining: almeno le emergenze fanno passare il tempo più velocemente.

Il weekend, d’altro canto, ho dovuto inventarmi un po’ la qualunque, ma di sicuro non ci si annoia: ci sono le pulizie da fare, cucinare, impastare, fare dolci, preparare la pizza per la sera, studiare cinese, studiare per la tesi, portare fuori il cane, dividere il cane che insegue il gatto e il gatto che prende a schiaffi il cane, insultare i produttori di Grey’s Anatomy per questa stagione di merda, piangere sull'ennesima puntata strappalacrime di This is us, tradurre Will e Grace… cioè un regolarissimo weekend di quelli in cui non ho nessuna voglia di uscire e passo in casa la maggior parte del tempo, come metà dei weekend dell’anno, insomma.

Che poi, in realtà, negli ultimi due anni mi è anche capitato spesso di passare intere settimane in mutua. L’ultima volta che mi hanno operato, sono stata venti giorni a casa, uscivo solo per andare a fare i controlli o togliere i punti alle Molinette. Quindi si sopravvive benissimo, soprattutto quando non hai tagli sulla pancia che devono guarire e ti impediscono anche solo di passare l’aspirapolvere per passare il tempo!

Certo, questa volta è leggermente diverso.

Ma com’è stata una settimana intera chiusa in casa con un cane di sette mesi che ti dà fastidio a qualsiasi ora del giorno e della notte mangiando calzini, cuscini, tavolini, mobili, libri e librerie; un gatto asociale che alterna momenti di puccio-coccolosità infinita e scatti improvvisi d’ira funesta; e un fidanzato che non ha nulla da fare (ma che se gli chiedi di fare dei lavori in casa, VISTO CHE NON HA NULLA DA FARE TUTTO IL GIORNO, sbuffa e si lamenta come se gli avessi detto che hanno cancellato campionato e coppe… ah già, poverino)?

Eh, dicevamo prima: tosta.

In sintesi, è andata così.

- Abbiamo imparato una nuova routine quotidiana (dove non è incluso il tg!) 


- L’unico giorno in cui abbiamo provato a fare una passeggiata per la strada di Bosconero, dopo aver staccato il pc la sera, pensando “tanto non ci sarà nessuno”, abbiamo incontrato decine di persone, cani, famiglie, bambini, solo non si vedono i due liocorni. 


- In una sola settimana ho comprato tanto di quel ciarpame (vestiti, una lampada, degli aggeggi per chiudere i panzerotti, libri, due poster, e anche una coppetta in plastica per fare pipì in piedi come gli uomini ai concerti) da qualsiasi parte dell’internet: Aliexpress, Wish, Amazon, e altri siti dubbi che mi sono apparsi su Instagram e saranno sicuramente una truffa. Ho salutato con un grande sorriso riconoscente ogni fattorino di Amazon che mi lasciava gli acquisti, che avessero la mascherina o meno, e poi sono sempre corsa a casa a lavarmi le mani tre volte e darmi fuoco con l’Amuchina, perché la prudenza non è mai troppa. 


- Ho scaricato l’app della vita che mi permette di fare karaoke ignorantissimo. E due giorni dopo, una signora dei piani sopra il mio, mi ha fermato mentre portavo fuori il cane per farci notare che  sbattiamo il portone di casa un po' troppo violentemente e giustamente diamo fastidio, anche di pomeriggio. Secondo me, il sottotesto era: “e smettila anche di cantare alle due di pomeriggio in pausa pranzo che sei terribile”. Carriera stroncata. 


- Abbiamo diligentemente redatto il menù di pranzi e cene delle prossime tre settimane e abbiamo raggruppato (quasi)tutto in un’unica spesa. E visto che poteva andare una sola persona, secondo voi, rischiavo il contagio in prima persona, ma almeno ero certa di tutto quello che sarebbe arrivato a casa, o mandavo Luca? Ecco, ci siamo capiti. Che esperienza traumatica. Per fortuna non devo più uscire per le prossime settimane. 



- Ho in programma di passare i miei week-end cucinando cose che non ho tempo di fare durante il resto dell’anno, tipo la pasta fresca fatta in casa, o i ravioli fatti in casa, o qualsiasi cosa che normalmente non farei perché devo passare tutto il weekend a pulire sto campo-rom di casa e non ho tempo di fare altro. Per questo weekend ho preso due vaschette di mirtilli, suggerimenti per dolci? (obvi, se avete ricette della nonna sulla pasta in casa, io le accolgo a braccia aperte e a un metro di distanza) 




- Lavorando da casa, risparmio tantissimo tempo tra andare-tornare dal lavoro, quindi ottimizzo quel tempo studiando tantissimo. Tra gli acquisti pazzi, ci sono anche stati due libri in cinese, con tanto di audiolibri, visto che mi hanno stoppato il corso. Sappiamo già come finirà: mi annulleranno l’esame, e mi laureerò nel duemilamai. Hurrààà.
(qui sotto: me, meno le sigarette, più le caramelle gommose)


- Il mio nuovo obiettivo da qua alla fine della quarantena è vincere il “Play with us” di M2o. VOGLIO QUELLE CACCHIO DI MAGLIETTE/ADESIVI/TUTTECOSEDIALBERTINO. Nel frattempo, penso che prenderò una denuncia per stalking, sto esagerando coi vocali molesti ad Albertino.

- Non concepisco come possiamo passare tutto un mese se “C’è posta per te” sta per finire. No, dico, come minimo ci meritiamo un po’ di lacrime e sofferenza per altri sabati, o no? 



- Oltre ad esaurire i miei soldi con lo shopping online sconsiderato, il mio cuoricino tenero si fa impietosire da tutte le raccolte fondi che stanno spuntando in questo periodo. E visto che quella dei Ferragnez ha già raccolto più soldi di quanti ce ne vorrebbero per estinguere il debito pubblico italiano, e che la raccolta fondi di Zaza non la condivido a priori (come se in Basilicata abitasse davvero qualcuno! scherzopercarità, prima che esca l’analfabeta di turno), vi lascio un paio di link ai quali ho donato io:

https://www.gofundme.com/f/coronavirus-riprendiamo-fiato

https://www.fondazionericercamolinette.it/campagne/insieme_in_prima_linea_emergenzacoronavirus/

- Oggi dovevamo festeggiare il compleanno di mio fratello (in ritardo); non vedo una nonna da tre settimane e l’altra nonna da una settimana, idem la mamma, si salva solo mio padre che, anche nei momenti di quarantena, viene a casa a sistemare le cose che rompo. Cuore di papi.
Ed è davvero un sacco triste non passare almeno la domenica tutti insieme, come facciamo quasi sempre. Abbiamo rimediato con un'ignorantissima video chiamata a 4, ma non è la stessa cosa!
Non parliamo proprio di fratello, che è stato obbligato ad andare nelle zone rosse a lavorare, ma rosse, così rosse che se lo incontrasse Lenin gli darebbe una tessera del partito e un bacio in fronte. 




Non sono una persona iperattiva, che esce ogni sera a cena fuori, che deve fare aperitivo in centro da giovedì a domenica (sono passati i tempi della baldoria Londinese), che va al cinema una sera sì e una no o che fa la carta musei per uscire ogni domenica pomeriggio.

No, ecco, proprio no.

Anzi.

Io sono quella esperta di serie tv, che sta comodamente sul divano a guardare Sua Altezza Reale Maria da Mediaset il sabato sera, che compra quintali di libri e che preferisce passare la domenica a rilassarsi a casa o studiando o mangiando (se non gioca il Toro, quanto mi manca!).

Quindi da un lato fatico a capire quegli psicopatici che per forza di cose devono avere una vita sociale anche quando un Decreto di impone di stare fermo a casa, però sono conscia del fatto che esistano anche loro e che insieme bilanciamo il mondo. Siamo lo yin e lo yang della movida.

Dall’altro però, ammetto che la sera, quando porto fuori la bestiolina verso le sei, che c’è ancora il sole e il tempo è mite, mi verrebbe proprio voglia di uscire, sia per fare due passi sia per sorseggiare un Negroni all’aperto.
E quindi che si fa?
Niente, si fa una bella spesa degna di un bar di Piazza Vittorio e con il set per preparare cocktail appena comprato (Amazon ti amo) ci si arrangia e si improvvisano aperitivi in balcone.



E poi, una piccola considerazione.

Ho visto tantissimi post che recitano più o meno “Dopo questa quarantena, i reparti di maternità saranno pieni”. Ecco, io volevo chiarire una cosa.

NO.

ENNE O.

Cioè, oddio, se voi riuscite a passare 24 ore su 24 con la vostra dolce metà, senza litigare mai, discutere su chi fa cosa, senza avere del tempo per te stesso, senza stare da soli a casa, ad infastidirti perché lui doveva lavare i piatti ma li lascia lì tutto il giorno o perché fa la lavatrice e poi lascia la roba dentro tutta la notte senza stenderla, o perché discutete su cui dei due deve preparare la cena perché tu stai studiando ma lui sta facendo workout nell’altra stanza e nessuno si è accorto che sono le otto e bisogna ancora preparare cena (oh, io sono piemontese) o chiedersi perché il cane faccia tanto casino e finire con “ma non hai dato da mangiare al cane? – No, tu? – No – OHCAZZO”, invidio la vostra pace zen, o la vostra casa molto grande dove ognuno ha un intero piano per sé. Io ormai ho consumato Skyscanner, tante sono le volte che ho cercato voli Milano-Katmandu per andare in un monastero in Nepal e stare in pace per due settimane, e non abbiamo ancora figli! 



Poteva andare peggio.

Come? Beh, potrei essere una 17enne chiusa in casa con i genitori. Vi assicuro che nel 2007 non era così divertente stare a casa. Soprattutto quando sei un’adolescente isterica. E litighi con i tuoi genitori tutti i giorni. E hai un solo divano con la tv in casa. E non hai ancora scoperto lo streaming. E il tuo computer (fisso) crasha di continuo perché non è abbastanza potente da sopportare che giochi 14 ore a The Sims. Visto? Poteva andare molto, molto peggio! Unica gioia? Msn <3 



No dai, scherzi a parte, questa situazione tirerà sicuramente fuori molti aspetti positivi.

Primo tra tutti, re-imparare a convivere con noi stessi e con le persone che abitano con noi (fidanzati, mariti, mogli, fratelli, genitori, figli). Perché sono tutti bravi a dire “eh ma anche in vacanza state 24 ore su 24 insieme”. Eh, grazie al cazzo. IN VACANZA. Il quotidiano è diverso, difficile, a volte pieno di risate e cibo, altre noioso e litigioso. Ma sono sicura che ci farà solo bene.

E poi, parlando di cose positive, ma quanto sono belli i teli appesi sui balconi con gli arcobaleni e gli hashtag #andràtuttobene? Mi infondono una fiducia nell’umanità che non vi dico.

O le iniziative dei più giovani che si propongono di portare spese e medicinali a domicilio agli anziani?

O i flash mob musicali dai balconi? E il flash mob del sabato mattina con gli applausi per tutto il personale sanitario, infermieri, medici, oss, ecc?

E le file? Gente educata, che mantiene il metro di distanza e non prova nemmeno per scherzo a superarti. Cioè, ma siamo a Londra o in Italia? Che giuoia, raga!

E quant’è bello non sentire più il porco che inveisce contro gli immigrati? Madò, non lo vedo più nelle prime pagine da settimane. 

Ma soprattutto, quant'è bello che abbiano stoppato il campionato e il Toro non perda più ogni domenica, né sia andato in serie B? Guardate, cari amici della Lega Italiana, per me possiamo anche chiuderla qui e riparlarne a settembre, e amici come prima.
(credit per la foto: casual_granata_torino @Instagram)

Mancano due settimane.

La dispensa è piena.

Il frigo pure.

L’alcol c’è (sia quello rosa per pulire, sia quello da bere).

Rimane il dubbio “Cosa ne sarà di Pasqua? Pioverà a pasquetta?” e poi “Ci conviene scendere a Napoli per Pasqua, visto che abbiamo già preso i biglietti o facciamo che spostare tutto e riparlarne ad agosto/settembre?”

E poi, oh, a maggio pochi cazzi, io vorrei festeggiare il compleanno.

Quindi statebboni, 


chiusi in casa, e fate come noi:

mangiate
bevete tanto alcol
sfondatevi di caramelle di gomma
e si accettano scambi interculturali su serie tv da vedere (tipo sto per iniziare giusto ora la serie tratta dal libro che mi è piaciuto di più nel 2019, The Ousider, e le aspettative sono altissime!)
o nuovi librini da acquistare, rigorosamente su Amazon (anche se Casa di Foglie mi guarda trepidante dalla libreria sussurrandomi “dì, è la mia volta?”).


Buona quarantena!

mercoledì 14 agosto 2019

Riesumare il blog per le cose importanti

Ci ho pensato un po'.

Non avevo voglia di pensarci, probabilmente.

Poi, tra i ricordi di Facebook,ho visto che in questi giorni avevo appena fatto la prima seduta di chemioterapia, ero al mare ma stavo malissimo, facevo delle punture che mi facevano venire dei dolori forti alle ossa prima di dormire, il cortisone mi dava noie di continuo, prendevo 15 pastigliette diverse al giorno, e stavo cercando di riprogrammare la mia vita per capire cosa ne sarebbe stato dei miei piani, proprio quando, l'ultimo giorno di mare, hanno iniziato a cadermi i capelli, a grosse ciocche, e quello è stato il primo di tanti dolori dentro, che non aveva a che fare con il mio corpo, ma con il mio spirito.

Poi passa il tempo, passano le visite, le giornate in ospedale, le tac, le pet, risonanze, giornate di fatigue, sbalzi d'umore, pic da pulire ogni settimane, i capelli ricrescono, a lavoro sei meno stanca, ricominci a uscire, a bere, a fare le vacanze, a prendere l'aereo, a tatuarti, a mangiare sushi e carne cruda, e dopo tanti mesi (e non pochi intoppi al pronto soccorso di Chivasso, vigilia di Natale inclusa) arrivano le mie due parole preferite:
remissione completa
E passa altro tempo, riprendi la tua vita normale, anche se non sarai più quella di prima. L'ansia ad ogni dolore all'addome, un po' di ipocondria costante, l'incertezza ogni volta che fai una tac di controllo o ritiri gli esami del sangue. Piano, piano, tutto torna nella norma, aspettando che passino ancora tre anni per completate il follow-up e chiudere questo capitolo.

Il punto, è che quando poi stai bene, cerchi ci pensarci il meno possibile. Ma sì, ho passato l'inferno, ma ora è andata, sono viva. Ho iniziato a vederla come se avessi avuto una malattia brutta, come tanti , e di averla semplicemente passata, via, si volta pagina.
Poi però succede che qualcuno muore. È successo qualche mese fa, quando una persona che conoscevo, con un linfoma molto simile al mio, non ce l'ha fatta. È successo pochi giorni fa, quando mia mamma mi ha detto che il fratello di una sua collega con un linfoma allo stomaco non ce l'ha fatta. Succede tutti i giorni eh, sia chiaro. Ma quando succede a chi conosci o a chi ha visibilità social/mediatica, l'impatto è ancora più forte. E torni a pensare "minchia, sarebbe potuto succedere anche a me".
Da qui, tutti i problemi quotidiani che comunque ti fanno venire l'ansia prima di dormire, sembra non contino più un cazzo. L'affitto, le bollette, il finanziamento della macchina, dove fare le vacanze il prossimo anno, i soldi per il matrimonio, la tesi, i debiti, le litigate per chi lava i piatti, i comizi dei politici che ti stanno sul cazzo, son poi cazzate.
E non ho intenzione di dirlo con fare arrogante e superiore perché chi sopravvive è un guerriero, ha lottato di più, ci credeva di più (tutte cose che ho letto in questo paio di giorni), ma lo dico forse per credeci un po' di più anche io stessa, per rendermi più conto della realtà delle cose e rivedere le priorità che mi do.
Qualche giorno fa, mentre leggevo su Instagram i commenti sotto la foto di una famosa attrice che sta affrontando il suo percorso di guarigione condividendolo con molto realismo e lucidità, mi sono venuti gli occhi lucidi leggendo alcune storie dei commentatori. Luca mi ha chiesto "ma perché lo fai?" E io gli ho risposto di getto "per rendermi conto di quanto sono stata fortunata".
Guerrieri o meno, crederci o meno, essere cattolici o di qualunque altra regione, non è stato ciò che mi ha fatto guarire.

Sono state due le componenti chiave:
1) la "fortuna" (nella sforuna) di avere una forma di linfoma aggressiva ma trattabile, del quale si conosce tutto, tanto che alla prima visita mi è stato detto che le probabilità di guarigione erano del 90%
2) la ricerca. Mettiamoci bene in quelle zucchette che senza la ricerca non c'è guarigione.
Punto.
A capo.

Possiamo fare tutti i discorsi filosofici di sto cazzo, ma si riduce tutto a questo.
Non so che tipo di tumore avesse la Toffa, non l'ho mai capito. Quello che ho letto è che si è trattato di una forma di tumore del quale ancora oggi la scienza non sa ancora abbastanza da poterlo trattare ed eliminare. 
Fino a qualche anno fa, si moriva davvero molto più facilmente per queste carogne. Già solo il tipo di cura che ho fatto io, l'immunoterapia abbinata alla chemio, è una scoperta abbastanza recente, che salva la vita ed evita recidive.

La strada è ancora lunga, un po' come questo post che ormai è diventato un capitolo della Divina Commedia, ma il succo rimane uno solo: 
la sensibilizzazione alla ricerca.

Spendiamo così tanti soldi in stronzate, e io sono la prima a farlo. Ma facciamo tutti qualcosa di più per la ricerca. Gli istituti a cui donare sono tantissimi, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Io, per esempio ho scelto l'AIL, ma per una semplice questione di "affinità", alla quale è mia intenzione rivolgermi anche per le bomboniere per il matrimonio. Ma quando posso, dono volentieri anche a Candiolo e all'AIRC. 
Sarebbe bellissimo vivere in uno Stato che da più importanza alla ricerca che a baciare i rosari ai comizi. Però, per adesso, preferisco iniziare a fare qualcosa IO invece di aspettare che sia sempre qualcun altro a farlo.
E ricordate che ci sono modi anche non economici per aiutare chi sta male, e le donazioni di sangue e di midollo sono solo uno spunto (a proposito, grazie amici donatori ❤)

Se volete essere una goccia nel mare anche voi:
1) https://donazioni.ail.it/
2) https://www.airc.it/sostienici/fai-una-donazione
3) https://www.fpoircc.it/
4) https://www.fondazioneveronesi.it/donazioni/dona-ora
5) https://www.fondazionericercamolinette.it/

[Comunque mi si è appena posata di fianco una coccinella gialla, saranno quelle che portano sfortuna o fortuna? Chissà]


martedì 27 febbraio 2018

Chirurgia generale, giorno 2 e gironi danteschi.



Oggi è tutto il giorno che mi chiedo:

quale dev’essere il tuo peccato per essere finito nel girone dantesco dove, come contrappasso, hai ottenuto una giornata bonus in ospedale per via di un intervento posticipato? 

La risposta che mi sono data è: l’impazienza. 
Gli impazienti vagheranno per sempre tra i corridoi degli ospedali, in un clima di ansia perenne, e di giorno in giorno verrà loro detto che l’intervento avverrà il giorno dopo. 
PER. TUTTA. L’ETERNITA’. 

Sono così annoiata, che mi sto facendo film mentali sulla Divina Commedia. Per dire.

Ieri ci eravamo lasciati in un clima ansiogeno e giulivo, dove vi dicevo che oggi sarei stata bene. 



Mizzega, sto benissimo.
Per forza, ancora aspetto di entrare in sala.

Comunque, tra tutto, non è andata così male. La mattinata ha avuto i suoi lati divertenti.

A partire dal primario di chirurgia che dovrebbe operarmi, e alle sette di mattina mi preannuncia che potrebbero non aver posto per me tra gli interventi di oggi. Poco dopo, passa un altro giovincello (probabilmente l’ennesimo chirurgo minorenne di questo reparto), che dice alla Signora Ammamma che l’avrebbero operata oggi, e quando chiedo informazioni riguardo la mia situazione, mi dice di non preoccuparmi che di sicuro sarei passata oggi. 
Dieci minuti, ma che dico, forse meno, passa di nuovo il chirurgo a confermarmi che mi opereranno domani perchè, essendo in un reparto di chirurgia d'urgenza, se arrivano dal pronto soccorso casi più gravi del mio, ovviamente, hanno la precedenza.

Io ora vorrei fare un appello al primario di questo reparto: ma vogliamo gentilmente cucire la bocca a questi bambini appena laureati che danno solo informazioni sbagliate? Grazie. Cordiali saluti. La direzione. 


Poi è stato il momento dei grandi traslochi. La mia stanza era già troppo bella, spaziosa e luminosa, per rimanere mia. Mi sono ritrovata in uno stanzino grande la metà, caldo il doppio, con altre due signore, non autoufficienti e molto anziane. Le rispettive figlia di una e nuora dell’altra sono sempre al loro fianco, in maniera quasi commuovente. Prima, durante il pranzo (che avrà un paragrafo a parte!), sentivo che le imboccavano e cercavano di convincerle a mangiare proprio come si fa coi bambini, una tenerezza davvero incredibile. Sì per la figlia, perché dopo che sono stati loro ad imboccarci quando eravamo piccini, questo sarebbe il minimo che possiamo fare quando i genitori ne avranno bisogno, ma soprattutto per la nuora dell’altra signora, che non le ha lasciato la mano un minuto, che la imbocca, le cambia il pannolone, la forza a passeggiare piano piano, la aiuta a girarsi, si becca gli insulti quando la signora vorrebbe solo dormire e invece le tocca stare sulla sedia, insomma fa tutto quello che una figlia farebbe per un genitore. Sia con dolcezza, sia con quella durezza da signorina Rottermaier da vera donna Gestapo. 

Per fortuna le mie vicine di stanza non sono rumorose, e nemmeno i loro parenti, non pretendono di intavolare una conversazione forzata dalle circostanze e nemmeno si lamentano. Mi manca un po’ la signora Ammamma, alla quale è stato spostato il letto quando lei era sotto al bar, ma ho appena sentito dal corridoio una voce urlare “FLORAAAA, FLORAAA, CIAO ANNONNAAAA”, quindi so che è viva e sta bene, ovunque si trovi. E poi ho ancora il mio posto finestrino, anche se con vista sui tetti, ciao ciao collina.

Ma il topic trend della giornata, l’hashtag che vince su tutto, è #datemecibo. 

Considerato che mi hanno detto che non mi avrebbero più operata circa alle 9 di mattina, quando il carrello della colazione ormai era passato da due ore e io ero a digiuno da più di 12 ore, dovevo trovare un modo per mangiare qualcosa. QUALSIASI COSA. Aspetta mezz’ora. Aspetta un’ora. Come già detto, non sono paziente, motivo per il quale Dante mi ha relegata qui. Vado a rompere le pallette alle infermiere, che ormai mi amano per la mia collezione di unicorni, le ciabatte unicorno e il pigiama unicorno. Per fortuna tutto il personale sanitario, qui, è adorabile (a parte i chirurghi, minorenni e plurisettantenni). Il problema è che, avendo finito i bicchieri, mi hanno portato un piatto da minestra pieno di tè, non vi sto nemmeno a dire quanto me ne sono rovesciata addosso mentre cercavo di bere dal piatto, peggio dei bambini.

Visto che qui non ho niente da fare, il mio pensiero fisso è sempre il cibo. L’attesa per il pranzo è stata lunghiiiiiissima. Tipo quando mandano Titanic su canale 5 la sera, sai che finirà circa tre giorni dopo, perché le pubblicità durano più del film. 

Io poi ho un rapporto un po’ complicato con il cibo dell’ospedale. 
Quando facevo la chemio, stando nel Day Hospital fino alle 3 di pomeriggio, mi portavano sempre il pranzo. Che sì, uno aveva fame, ma tra il cortisone e la terapia, la fame e la nausea facevano un continuo braccio di ferro, nel quale vinceva sempre la fame. Per colpa della maledetta chemio, mi è rimasto il ricordo in particolare di un giorno in cui mi hanno portato ravioli al burro e salvia, polpette e purea. Da quel giorno, ad oggi e penso per tutta la vita, non riesco a mangiare i ravioli burro e salvia senza che un senso di nausea pervada tutto il mio corpo, fino a farmi proprio venire i conati. Idem con le polpette con la purea, che sono il mio piatto preferito in assoluto. Io AMO le polpette e per non so quanti mesi, anche solo guardare le polpette e la purea da lontano mi disgustavano. Ora piano piano, stiamo cercando di ristabilire un rapporto, perché polpettine amori miei non posso vivere una vita triste senza di voi!

Ma tornando ad oggi. Aspetto il carrellino coi vassoi, servono prima le mie due compagne di stanza, minestrina e prosciutto crudo per entrambe, e poi se ne vanno.

Io rimango così. 



Impietrita e affamata.

Uè uè, va bene che il cibo dell’ospedale mi fa venire la nausea, ma nutritemi, fateme magnà inzomma. Mi metto letteralmente a inseguire le signore che distribuiscono i vassoi, sentendomi una vera e propria accattona, in ciabatte e con la vestaglia addosso, a ricorrerle per tutto il corridoio.


 Ovviamente in questo ospedale abbiamo problemi di comunicazione, e nessuno aveva detto loro che non mi avrebbero più operata oggi. 
Non appena iniziano a elencarmi le opzioni del pranzo, mi pento di aver insistito per mangiare. 
  • Pasta in bianco, ravioli burro e salvia, riso al pomodoro o minestrina. 
  • Di secondo abbiamo pesce in umido o prosciutto crudo. 
  • Di contorno broccoli o purea. 
Grazie signore grazie per aver inventato il prosciutto crudo, non me ne vogliano gli amici vegetariani, ma senza quello sarei morta di fame. Ciò non toglie che dopo mi sia venuta COMUNQUE la nausea, ma penso che questa sia dovuta più al “budino” che al prosciutto. Mangiare il budino dell’ospedale, aspettandosi una cosa tipo Danette Danone alla vaniglia, e rimaner tristemente delusi quando, al primo cucchiaio, si avverte gusto di farina cruda, sapone e mollica di pane, mi ha fatto meditare seriamente sugli ingredienti usati per fare questo meraviglioso “budino”. Probabilmente riutilizzano le garze lavate inutilizzate durante le operazioni, perché il gusto era simile a quello, ora che ci penso bene.

Il resto del pomeriggio passa tra:

  • Mille episodi di serie tv trashissime 
  • Pisolino 
  • Qualche pagina dell’ultimo libro di Stephen e Owen King (FICHISSIMO RAGA DOVETE LEGGERLO E AMARLO TANTISSIMO) 
  • Pisolino 
  • Giretto al bar a bere un caffè, con annessa broncopolmonite visto lo sbalzo termico tra la mia stanza e il piano terra 
  • Serie tv 
  • Storia su instagram 
  • Noia 
  • L’infermiera che mi fa la punturina anti-trombo con una violenza tale tipo quando accoltellano la gente in Game of Thrones 
  • Storia su instagram 
  • Altra noia 
  • Ansia.

Questa attesa non ha fatto altro che prolungare la mia ansia, col fatto che ho passato metà giornata a dormicchiare, voglio proprio vedere come stracazzo mi addormenterò sta notte.
Ho portato mille robe per passare il tempo, e per quanto io ami stare da sola, farmi i fatti miei, leggere, fare binge watching delle miei serie tv e sonnecchiare tutto il giorno (che è tipo il modo in cui passo le domeniche quando Luca non c'è o non gioca il Toro), un conto è farlo a casa tua, sul tuo divano e col frigo a disposizione. Ben diverso è farlo da un letto di ospedale, senza parlare con nessuno, in una stanza dal clima equatoriale.

Vediamola così, non avrebbero potuto scegliere una settimana migliore in cui ricoverarmi, fuori ci sono meno duecento gradi, pinguini e orsi polari tra le vie del Piemonte, e io sono rinchiusa in una stanza dove ci sono circa 25 gradi centigradi, in maglietta, pantaloncini e calze anti trombo. Praticamente come essere in un villaggio delle Maldive d’estate, mentre i tuoi amici tolgono il ghiaccio dalle macchine alle sette di mattina. 



Che visione ottimistica della vita, uh là là. No, non è da me.

E comunque, sappiate che da quando sono qui dentro, ho in mente una scena di Scrubs, e chiunque la realizzerà sarà il mio super eroe per la vita

ANZI.

Mi sono appena imbattuta nel vero sogno della vita.

L'alternativa ai gattini, sarebbe venirmi a trovare con del gelato alla crema, entrando in stanza urlando: "Tenente Daaaan, gelato alla crema"




Basta, sto perdendo il senno. Sono le 18 e mi stanno portando la cena, cioè un bicchiere di té. Cena, pff.

Vi aggiornerò con le nuove avventure di "Vale in the hospital", ma voi non pensate di presentarvi al mio capezzale senza una scatola di gattini o del gelato alla crema, siete avvisati! 


lunedì 26 febbraio 2018

Chirurgia generale, terzo piano delle Molinette, io sono qui.

Ho pensato di scrivere questo post in due parti, iniziando oggi dal mio comodo divano di casa, con gli aggiornamenti, e finendo dalla mia stenzetta delle Molinette il giorno prima dell'operazione.

[In piena modalità: località turistica dell'anno]

Ormai da quando sono "sana" non aggiorno più spesso il mio blog, e onestamente ero anche un po' titubante se farlo anche questa volta o meno. Un po' perchè non sono così egocentrica da pensare che le mie avventure quotidiane siano così importanti da meritare una narrazione tutta loro, e un po' perchè al di là delle solite sfighette quotidiane, non mi è più capitato nulla di rilevante.

Poi, in una serata di noia, sono andata a rileggere la mia storia, come se non me la ricordassi più. La memoria ogni tanto cancella particolari più o meno dolorosi, tende a lasciarci qualcosa di nebuloso al loro posto. Ho riletto tutti i particolari che, in quei momenti erano freschi, e mi sono resa conto di quanto aiuto mi abbia dato mettere tutto quel dolore, quella rabbia e quei momenti di rassegnazione per iscritto. Quanto ricevere conforto dalle persone che mi leggevano sia stato di immenso aiuto, ogni messaggio di forza rappresentava una manina tesa, che mi aiutava a tirarmi su dal mare di merda in cui stavo affogando.

Quindi, perchè non aggiornarvi sulla mia condizione di salute?


Non so per quale strana concomitanza cosmica, il mio pancino non ci ha più costretto a maratone olimpiche per raggiungere il pronto soccorso di Chivasso.
Perchè, giustamente, forse l'universo pensava che negarmi il Natale fosse stato già abbastanza.

Poi da fine gennaio, è stato tutto un po' in discesa, tendente allo sterco.

Dall'ultima diagnosi, eravamo rimasti con un corpicino SANO, tutto scritto in caps lock come fanno gli analfabeti funzionali sotto i post razzisti di Salvini. Oggi invece mi sento di scrivere "sana", minuscolo e tra virgolette.

La differenza l'hanno fatta due vecchie amiche formate da tre sigle: TAC e PET.

Dalla TAC, niente di che, se non una cosina piccola e insolita.
Dalla PET ricomincia il panico.
Non mi ricordo se mi sono mai messa a spiegare la differenza tra le due. Io so quel poco che posso, non essendo del mestiere. Sono entrambi quegli esami in cui passi sotto un tubo aperto che emana radiazioni. Solo che nella PET, prima di entrare nel tubo, ti fanno un'iniezione con una sostanza a base di zucchero al quale è stato fatto qualcosa per renderlo radioattivo. Le cellule tumorali si nutrono di zuccheri, quindi dalle immagini si vedono queste lucette nel tuo corpo, laddove ci fosse la presenza di masse.
Dalla prima PET, quest'estate, il mio addome era un albero di Natale, avevo delle palline rosse qua e là sparse dappertutto. Questa volta non ci saremmo aspettati niente, e invece ecco le pallette rosse.
Bisognerebbe fare una premessa, questo esame è molto "sensibile", cioè mi è stato spiegato che potrebbe captare anche semplici infezioni e illuminarsi, non so secondo quale regola, visto che non mi risulta che le infezioni si nutrano di zucchero, ma non è il mio campo di studi. Quindi se qualcuno che sta leggendo, gentilmente, mi fa un riassunto in italiano semplice, tipo "Esplorando il corpo umano", mi fa un favorone!

Quindi si ricomincia con gli esami scrupolosi.
Io, che il giorno prima dell'esame avevo lasciato l'ufficio dicendo "Raga, se va tutto bene non vedo più l'ospedale per almeno sei mesi, fino al prossimo controllo", mi sono ritrovata in un reparto di chirurgia d'urgenza a fare un consulto con una donna chirurgo cazzuta come quelle dei telefilm, a ricominciare coi pomeriggi d'infinita attesa al COES e a riempire le braccia di buchetti per le analisi del sangue.

Se dalla PET è emersa quella roba lì, dalla TAC è emersa una bollicina.

Pare che quei dolori lancinanti che mi costringevano a correre al pronto soccorso una volta al mese e a scappare dall'ufficio in preda al male e al vomito, siano tutta colpa di questa bollicina, messa lì dove una volta c'era il mio intestino.
Per rendere più chiaro quello che mi hanno fatto in India, e per spiegare cosa mi stia succedendo, è indispensabile un disegnino un po' schifosino:



Il male incredibile veniva nientepopodimenoche da un buchino di merda, che probabilmente è sempre stato lì da dopo l'operazione, circa all'altezza dell'anastomosi. Col fatto che il linfoma c'è poi cresciuto sopra, non è stato possibile vederlo per tutto il procedere delle analisi durante la chemio. Quando poi linfomerda ha lasciato totalmente il mio corpo, ha lasciato questo cosino scoperto. Il mio intestino, che è figo e intelligente come tutto il resto del mio corpo (o quel poco che ne rimane!), ha coperto a modo suo quel microbuchino, creando uno strato di nonsocosa (e non me lo chiedete perchè non l'ho capito), e per farlo ha dovuto rigirarsi su se stesso, vista la vastità di spazio che si è andata a creare con l'operazione. Quindi, a modo suo, il microbuchino è coperto, ma quando le anse si infiammano io sto male da matti, e vualà spiegato cosa succede quando urlo ai dottori del pronto soccorso di Chivasso, che non hanno mai capito un cazzo.
Il problema è che questa copertura temporanea, potrebbe cedere da un momento all'altro, quindi è indispensabile chiudere definitivamente quella roba lì.

E sarebbe tutto davvero favoloso, finalmente finiscono i problemi, niente più mal di pancia, abbiamo finalmente capito da dove vengono tutti i dolori.
SIA LODE ALL'EROE TRIONFATORE.

Ma sarebbe tutto troppo facile se fosse solo questo.
Visto che la PET si è illuminata come mi illumino io davanti alla vetrina di una pasticceria, quella cosa lì potrebbe non essere una semplice infiammazione delle anse, ma un ritorno della malattia.
E come hanno pensato di scoprirlo i miei favolosi medici?

Obbligandomi ad una dieta a base di quattro litri di acqua e lassativo da bere in quattro ore, e mettendomi una sonda, in posti dove non dovrebbe entrare nessuna sonda. Anzi, non dovrebbe entrarci proprio niente, per quel che mi riguarda.
Soprattutto quando quella maledetta sonda si rigira come un'anguilla in un intestino martoriato, infiammato e dolorante.
Non auguro una colonscopia nemmeno al mio peggior nemico.

MAI.
E la cosa divertente, è che quella cosa che dovevano vedere non era DENTRO il colon, quindi non hanno potuto prelevare del tessuto e fare una biopsia.

Quindi che si fa?

L'unico modo è ritrovarmi qui, ora, nel letto 18 del reparto di chirurgia generale, in compagnia del mio uomo paziente che mi tiene la mano, nel mio pigiamino rosa con gli unicorni e i grumpy cat,
con la mia banda di amichetti

 in attesa di quello che mi si prospetterà domani mattina, e cioè:

- farmi tre buchini nella pancia
- mettermi una sondina nell'ombelico
- andare a vedere cos'è quella roba lì
- prelevare del tessuto da mandare in laboratorio e sperare che non sia un figlio del fu linfomerda
- controllare come sta il pezzo di intestino
- valutare se sia il caso di tagliarne via un altro pezzo
- ricucire l'intestino
- ricucire i buchini
- rimandare Valentina a letto per permetterle di uscire il prima possibile (che sabato c'è la mia squadra di Rugby preferita che gioca, e io devo fare la cheerleader a bordo campo, sperando di non prendermi la palla in faccia!)


Giusto per dirvi quant'è variegato, variopinto e variopazzo l'ambiente umano che mi circonda, vi racconto subito come sono le prime tre persone che ho avuto modo di conoscere da quando sono qui.

Un chirurgo, che ha esattamente la mia età.
E lo so perchè dopo avermi chiamato signora, l'ho guardato malissimo chiedendogli di non farmi sentire vecchia, lui guarda la mia data di nascita e mi fa "Ah, è vero, siamo anche dello stesso anno". Ecco, allora signora lo lasciamo a tua mamma, con amore.
 Quindi, il giovincello è appena passato a trovarmi, facendomi un quadro piuttosto approssimativo della situazione, del tipo "beh sì,potrebbe essere questo, o quello, nel caso fosse questo in mezz'ora sei fuori dalla sala, nel caso fosse quello stai due orette, però dipende. Eh quando puoi uscire? Mah non saprei, dipende cosa facciamo". Quindi fondamentalmente non sapeva 'na ceppa. Grazie chirurgo che si è laureato l'altro ieri.

La mia vicina di stanza, che è una signora valdostana come Pietro Savastano, e continua a parlare al figlio, finendo OGNI frase con "ammamma"
[Come stai ammamma? Ma hai freddo ammamma? Salutami tanto i bambini, ammamma. Mi accompagni in bagno, ammamma? Dai, vai a casa che fabbuio ammamma. Ma vai piano per strada, ammamma. - Il figlio di "ammamma" avrà 40 anni, comunque].
La cosa più divertente è che devono operarla alla colecisti, e nessuno si è premurato di farle sapere cosa sia questa colecisti, visto che poco fa l'ho sentita dire "Io non so, continuano a parlarmi di questa colecisti, cioè io so che c'è la cistifellea, il fegato, i reni, ma sta colecisti non l'ho mai nemmeno sentita nominare". Alla grande, signò. Vedo che come non dicono niente a me, fanno i misteriosi anche con lei né, comunque Google è tuo amico, secondo me scoprirai di saper già cos'è questa colecisti!

L'infermiera che è venuta a portarmi la cena, convinta che fosse brodino.
(solo dopo ho tristemente scoperto che era tè, anche perchè non riuscivo a spiegarmi perchè me l'avessero portato con una bustina di succo di limone e due bustine di zucchero.)
E per dirvi quanto suma ben ciapà, dopo aver visto la banda di unicorni, la signora ha esclamato felice "Ma quanti bei pupazzetti, sono dei tuoi bimbi?"

Ohsssantocielo sono circondata da pazzi.

A parte questo, come va?

Meh.

Vorrei dirvi che sono tranquilla, che tanto sono solo tre buchini, che dormirò come un orso in letargo, che sarò strafatta di morfina e non mi renderò conto di niente. Che poi sarebbe anche la risposta più razionale da dare.

In realtà sto sclerando giusto un attimino.
Non tanto per l'operazione in sé, perchè come ho detto è una roba davvero da poco (e perchè se nemmeno il chirurgo minorenne non sa cosa mi faranno, pensate mica che l'abbia capito io?).
È l'idea dell'operazione che mi fa stare male.
Il punto è che l'ultima volta che ero in un letto d'ospedale perchè dovevano farmi un'operazioncina da niente, mi sono ritrovata in terapia intensiva con la maschera dell'ossigeno e tubi da tutte le parti. Ad oggi non hanno ben chiaro cosa troveranno nella mia pancia, e scartando la peggiore delle ipotesi che linfomerda sia tornato, ci sono così tante variabili che possono andare male, così tanti stupidi rischi post-operatori anche con quattro buchini nella pancia, che mi viene il magone e riesco a pensare solo alle conseguenze negative che questa piccola, stupida, veloce operazione porta con sé.
Sono cazzate, lo so.
Paranoie e basta.

Andrà tutto bene, domani sera sarò qui a lamentarmi del male, di quanto odi la gente, gli infermieri che mi svegliano alle cinque, la mia pancia, la mia vita, di quanto io voglia altra morfina e di quando mi manderanno a casa.
Starò così bene che probabilmente mia mamma mi preferiva quando dormivo.

Però stasera è così.
Mi crogiolerò nell'angoscia, guardando film candidati agli oscar fino ad addormentarmi. In realtà, visto quanto sono noiosi, non penso ci metterò molto a crollare nelle braccia di Morfeo.

E voi se per caso passate dalle Molinette, mi trovate qui, almeno fino a venerdì, circondata da pazzi.
Intanto prometto di aggiornarvi, in qualche modo, nel caso ci fossero novità. In realtà, in preda alla noia, aggiorno le mie storie di Instagram così spesso, che manca poco me lo porterò anche in sala operatoria.
Vi aspetto con un bel "Live from the OR". Stay tuned!

[Piccola postilla.
Mentre rileggevo quanto scritto, è passato un altro chirurgo a chiedermi come stavo. Questo tizio è lo stesso bomber che, quando sono andata a fare il prericovero, mi ha chiesto se avessi fatto la prima visita per il linfoma "da un dermatologo". Ora mi ha chiesto se sapevo tutto, se mi avevano detto quando sarebbe toccato a me domani e via dicendo e ha concluso con "bene, sa più cose di me". E io avrei tanto voluto dirgli "BENE, spero nuovamente che non sia lei a mettere le mani nel mio intestino domani"]
#aiuto.





sabato 30 dicembre 2017

Addio Chemio... ma le sfighe continuano!

Ho i miei tempi, e devo ammettere che prima ancora di iniziare a produrre qualcosa di costruttivo e trovare le giuste parole da mettere insieme, ho creato questo bimbaminkiosissimo collage, perchè mentre sistemavo le mie foto del 2017, ho trovato i vari selfie che mandavo ai miei amici quando, durante la terapia, mi chiedevano come stesse andando. Mettendole una di fianco all'altra mi sono resa conto di quanto sia cambiato il mio corpo, il mio viso, la mia pelle. A quel punto, è bastato solo aggiungere le scritte da adolescente di Netlog, ma continuavano a mancarmi le parole giuste per scrivere. E so che, piuttosto che blaterare a caso, è meglio aspettare che arrivi il momento giusto, e le parole si scriveranno da sole.




Ho aspettato un bel po'.

Come se sapessi che intitolare un post solo "addio chemioterapia" mi avrebbe portato sfiga.

Ve lo scrivo con un po' di amaro in bocca, quello stesso amaro che mi è rimasto non potendo toccare nulla di tutto ciò che c'era sulla mia tavola imbandita come le vere famiglie piemont-terrone sanno fare.

Ho finito la chemio il 24 novembre.
Posso dire di essere uscita da quel reparto che quasi volavo, non toccavo terra, volevo solo arrivare a casa, morire sul divano, finire l'ultimo ciclo di cortisone + punture + antinausea + medicine di qualsiasi tipo, per poi aprire una bella bottigliazza di Champagne e brindare alla mia nuova vita, che cominciava finalmente da lì.

Una nuova vita fatta, in primis, di sushi e carne cruda, i cibi che mi hanno vietato per tutta la terapia, che non vedevo l'ora di mangiare tipo così:

E in secondo luogo da un Natale lontano dagli ospedali, dalle medicine, dalla nausea, da tutto questo schifo.
Avevo davanti solo più due punturone di immunoterapia, con quelle siringhe grosse come ceri pasquali, e poi addio ospedali fino a fine gennaio con le visite di controllo (sangue, tac, pet, tuttecose)

Questa, per lo meno, era la mia aspettativa quando ho lasciato l'ospedale il 21 dicembre, salutando tutto il reparto del COES e trotterellando felice verso l'ufficio.

E invece no, qualcuno aveva piani diversi per me.
Quel qualcuno, è un bastardo, sia chiaro.
Poco me ne frega se è stato da poco il suo compleanno, e poco me ne frega essere volgare o blasfema a questo punto.

Indovina, indovinello.

Chi ha passato la vigilia e metà del giorno di Natale, sdraiata su una brandina in mezzo al corridoio dell'ospedale di Chivasso?


ESATTO!

Non bastava tutto quello che ho passato nell'ultimo periodo.
Mi sono anche puppata il viaggio in ambulanza, l'infermiera di Chivasso che mi dice "ehi, di nuovo qui! Ma noi ci conosciamo", tutta la notte della vigilia in un lazzareto pieno zeppo di malati di tutti i tipi (non avete idea di quanto possa esser pieno un ospedale sotto Natale, l'avete ringraziato il bambin Gesù durante la messa di Natale, anche per questo, sì? Bravi.), gli infermieri troppo presi a mangiare la lasagna e l'arrosto piuttosto che curare noi poveri stronzi buttati in corridoio senza possibilità di chiamarli in casi di necessita, tranne urlare come se fossimo a Porta Palazzo, quattro flebo di antidolorifico e il chirurgo che mi dice che tanto sono solo aderenze, o coliche addominali, e finchè il mio intestino non si assesterà dall'operazione, non c'è nulla che loro possano fare. 
Bello. Confortante. 
Ah, a casa mi è anche venuta la febbre.
E Buon Natale.

Me ne torno a casa, sconfortata e dolorante.
Con la desolante consapevolezza che con questo male ci devo convivere, che non è tutto finito, che in qualsiasi posto del mondo mi trovi, in qualsiasi momento dell'anno, mi potrebbero prendere questi dolori lancinanti, e dovrei cercare l'ospedale più vicino. E se fossi scesa a Napoli con Luca per Natale? Mi ci vedete in una barella piena di formiche buttata nel corridoio dell'ospedale di Napoli? Dai, uagliù, non si può vivere così, non a 27 anni. Non quando pensavi che fosse tutto finito.

E soprattutto, voi tutti avete mangiato come cinghialotti, io ora vi elenco il mio menù delle feste:

24 dicembre: tutto ciò che ho mangiato è stato vomitato
25 dicembre: una bottiglia d'acqua, quattro plin e qualche cucchiaiata di brodo di bollito
26 dicembre: due cucchiai di riso e una patata bollita

Quando potrò recuperare tutti i vol-au-vent con fonduta, gli agnolotti al ragù, il vitello tonnato, i pandori ripieni di mascarpone, la paella della vigilia? Anche io voglio l'occasione di sfondarmi di cibo e lamentarmi che sono sazia all'inverosimile.

Se sento qualcuno parlare di dieta post-feste vi consiglio la mia, raga diventate dei figurini.


Sono incazzata, e tanto anche, ma devo dire, comunque, che dall'altro lato è tutto finito.
Niente più giornate passare al Day Hospital, sdraiata sul lettino a fare la terapia.
Niente più cibo dell'ospedale nauseabondo.
Niente più nausee che durano giorni e giorni
Niente più notti insonni e risvegli all'alba per colpa del cortisone
Niente più larva buttata sul divano senza forze per cucinare o senza la concentrazione per leggere un libro.
Niente più capelli che cadono.

Niente di tutto ciò.

La chemio ha avuto anche risvolti positivi sulla mia vita, parliamoci chiaro.

- Non ho avuto peli su tutto il corpo per mesi. Sapete cosa vuol dire una vita senza ceretta per mesi? E per quanto bene io voglia alla mia estetista, è stata una liberazione.

- La gente si alzava sui mezzi per cedermi il posto, quando vedevano che avevo il foulard in testa.

- Ho saltato un sacco di file ai musei, sono entrata gratis in tanti altri, e potrò continuare a farlo fino a giugno, quindi sappiate che se siete soli e vi serve una compagna da musei, con me entrate gratis

- Posso usarmi la "carta cancro" ogni volta che non voglio fare qualcosa. Lo so, è brutto. Non si fa. Gne gne gne. Ma il cancro l'ho avuto io e ci faccio il cazzo che voglio, bando ai moralismi.

- Potrei usare la "carta cancro" anche per andare a C'è Posta per Te (chiamate Maria per me!)

- Mi ha facilitato nella ricerca di un lavoro

- Posso mangiare gelato in qualsiasi momento voglia perchè "dai, è l'unica cosa che mi fa passare la nausea!"

- Tutte le visite mediche gratis, esami gratis, medicinali gratis. E scusate se è poco!

- Non dovevo più farmi la tinta. Sapete quanto ho speso negli ultimi due anni per cambiare 5 colori di capelli? Ecco, con gli stessi soldi, ci compro un volo a/r per New York. E niente più soldi per lo shampoo, balsamo, maschera, crema, sticazzi.





Chi mi conosce lo sa, anche in queste situazioni demmerda, ci devo vedere qualcosa di buono, se no impazzisco!



Poi un venerdì sera, tornando da lavoro, in una Torino imballata dal traffico di persone che non vedevano l'ora di tornare dalle proprie famiglie dopo una settimana di lavoro, parte questa canzone.









E partono le lacrime.




Vorrei incollare tutto il testo, ma mi limito al pezzo che, principalmente, ha interrotto le mie bestemmie contro i guidatori stressati che non sanno in che corsia devono stare, e mi ha riempito gli occhi di emozioni:


E' da qui
non c'è niente di piu naturale che
fermarsi un momento a pensare
che le piccole cose son quelle più vere
e restano dentro di te
e ti fanno sentire il calore
ed è quella la sola ragione
per guardare in avanti e capire
che in fondo ti dicono quel che sei


è bello sognare di vivere meglio
è giusto tentare di farlo sul serio
per non consumare nemmeno un secondo
e sentire che anche io sono parte del mondo
e con questa canzone dico quello che da sempre so
che la vita rimane la cosa più bella che ho.

Ho iniziato, istintivamente, a pensare a quanto sia cambiata la mia vita negli ultimi sei mesi, a tutto quello che mi è successo, al peso che ho iniziato a dare alle cose.

Al peso che ho iniziato a dare alla vita.

Io rido, scherzo e faccio di continuo battute macabre sul cancro, è sempre stato il mio modo per affrontare i miei problemi. Come quella volta che, parlando di M&M's con un amico di mio fratello col quale avrò parlato probabilmente due volte prima di quella, stavamo constatando quanta merda ci fosse in quelle caramelle deliziose, e lui disse "Dicono anche che quelle verdi facciano venire il cancro", ed io, senza nemmeno pensarci troppo, ridendo, uscì con un meraviglioso "Massì, tanto il cancro ce l'ho già, almeno mangio cose buone". Non volevo mortificarlo, davvero, era una battuta delle mie. Poverino. È diventato tutto rosso, si è scusato più o meno duecento volte e ha smesso di rivolgermi la parola per paura di dirmi qualsiasi altra cosa.

Però, al di fuori di questi momenti di black humor, e al di là del fatto che il giorno del mio compleanno ho esordito con "questo è l'anno in cui morirò, perchè io sono una rock star, e si sa che le vere rock star muoiono a 27 anni".
Sticazzi, non avrei mai detto che la mia vita avrebbe preso questa piega inaspettata.
Come non avrei mai immaginato, durante gli ultimi sei mesi, di ritrovarmi a pensare alla morte in maniera più seria e concreta rispetto a quanto abbia mai fatto in tutta la vita.
La prima volta, il giorno in cui mi hanno operato in India e la seconda quando ho letto per la prima volta la parola "linfoma", chiedendomi se di linfoma si possa morire.

E quella sera ero lì.

SANA.

Nella mia città, con la mia macchinina indistruttibile, appena uscita da un luogo di lavoro che mi piace proprio, mentre stavo per raggiungere la persona che amo, nella nostra casetta.
Dire che in quel momento mi sentissi quantomeno grata della mia vita, probabilmente sarebbe un eufemismo.

Piangevo perchè avevo appena realizzato che nemmeno nelle mie fantasie più sfrenate avrei potuto immaginare tanta fortuna per un singolo momento della mia vita. Men che meno dopo tutta la merda nella quale ho sguazzato, senza salvagente o bracciolini, solo tre mesi a questa parte.

Eppure ero lì.
VIVA.
Ecco, quella canzone, in quel momento.

Non so come io abbia evitato un incidente, visto che ormai piangevo come se stessi guardando una puntata di Grey's Anatomy, ero quasi a Chivasso circondata dalla nebbia e non vedevo nulla.
Ho preso una boccata d'aria a pieni polmoni e l'ho buttata fuori espirando lentamente e profondamente, come mi ha insegnato il mio maestro di yoga.

E mi sono sentita felice.

Non importa se la mia paura più grande è, e resterà sempre, che il linfomerda torni. Perchè nel momento in cui ho saputo di essere davvero guarita, oltre il primo scombussolamento iniziale durante il quale non ho ben realizzato cosa significassero le parole "la tac è pulita", ho avuto un momento di buio, che è durato pochissimo, ma non mi ha permesso di godermi il momento in quell'istante.

Avevo paura.

Sapevo che sarei guarita, e non per ottimismo o per fede in qualcuno o qualcosa, ma perchè dal momento in cui ho iniziato a sentir parlare degli esperti, tutti mi hanno rassicurato sulla curabilità del mio particolare linfoma.

Il punto è: e se torna? 

Dopo questo percorso, breve ma intenso, sarei mai in grado di riaffrontare tutto,  DI NUOVO?
Questa è la paura più grande che mi ha accompagnato per tutto il mio percorso, e non c'è sfera magica, Paolo Fox o fede che leverà mai quest'ombra dai miei pensieri.

Poi, per carità, tutti conosciamo il mio "mai 'na gioia", quindi la prossima cacca di piccione che mi cadrà in testa è dietro l'angolo.

Però chissene frega, io alzo la radio, canto e, nel dubbio, apro l'ombrello.


E visto che l'anno sta per finire.
E visto che ne ho viste davvero troppe.
E visto che mi sono ritrovata a pensare spesso "come poteva esserci un finale allegro, come poteva il mondo tornare com'era dopo che erano successe tante cose brutte?"
E visto che questo è il periodo dell'anno in cui si guardano le saghe.
E visto che per me c'è solo un'unica e sola trilogia.

Vi lascio con il mio personale augurio, anche se non sono ancora proprio convinta al cento per cento che la mia vita tornerà mai ad essere quella di prima, quando non dovevo preoccuparmi continuamente di cosa mangiare, cosa bere, se da un momento all'altro sarebbe potuto venirmi il male all'addome con tanto di corsa al pronto soccorso, se le carenze di ferro prima o poi passeranno e potrò smetterla di farmi le punture per l'emoglobina...non so se tutto questo passerà mai e mi lascerà vivere come una persona SANA che non deve costantemente stare in ansia per la sua salute.

Ma so che c'è del buono in questo mondo. Ed è giusto combattere per questo.



Buone feste a tutti.
(ah, e parlando di sfighe, indovinate chi è tornato da Napoli dicendomi "amore, ho promesso a mio padre che se avremo un figlio lo chiameremo come lui". Suo padre si chiama Alfonso. Passo e chiudo)

venerdì 3 novembre 2017

Pronti per il mambo number 5, quinto ciclo e sorrisi


Prima di iniziare volevo fare due premesse. La prima è lui, perchè finalmente siamo arrivati al ciclo numero 5:


La seconda premessa è questa:
la mia mamma, nonchè mia fan numero uno, nonchè assidua lettrice di questo blog fin dalla sua creazione (quando i lettori erano circa quattro), mi ha rimproverata per il mio linguaggio scurrile e poco signorile.
Quindi, per dimostrare alla mia mamma che qualche volta la ascolto sempre, per questo post facciamo un fioretto e censuriamo tutte le parolacce.
(io ci provo, GIURO! Ma visto che hai partorito una bella bambolina dagli occhi azzurri e i boccoli color del grano, che crescendo si è tramutata in una donna alpha dalla delicatezza di un camionista ucraino, la raffinatezza di Rocky Balboa, il tasso alcolico di Karen Walker e il linguaggio di Sgarbi, sappi cara mamma, che per me sarà durissima!)

Quindi, cominciamo.

Io e la mia banda di unicorni, più ananas e papino che per la prima volta è venuto a tenermi compagnia al COES, siamo qui per il penultimo ciclo, come vi avevo preannunciato, e abbiamo tutti un mega sorriso sulle labbra. Sì, anche l'ananas, appena scoprirò dove gli ananas hanno la bocca.
Se il post precedente è stato brutto, cattivo e incazzato arrabbiato, questo sarà pieno di unicorni, arcobaleni, brillantini, fatine, coriandoli, stelle filanti e notizie gioiose come quella della gravidanza dei Chiarez (Fedagni? Bo, vabbè, ci siamo capiti).

È incredibile quante cose succedano in soli 21 giorni.
Proprio l'ultima volta che stavo scrivendo su questa pagina, non c'era quasi niente che andasse bene, ogni volta che sembrava esserci UNA cosa che stava andando per il verso giusto, seguivano a ruota dieci cose pronte a complicarla. Come un gigantesco e affamato Majin Bu, pronto ad inglobare ogni piccolo barlume di gioia che mi si presentasse. Va bene, forse sto facendo un po' la Leopardi della situazione.
Let's move on.

In ogni caso, proprio come avevo scritto l'ultima volta, a forza di prender pioggia, dovrà pur spuntare un arcobaleno no?

Eccoli, finalmente sono arrivati, sono tanti, e non so bene da dove iniziare.

A parte il fatto che il mio arcobaleno numero uno, sembrerà zuccheroso, stucchevole e leccaculo ruffiano, ma devo ammettere che siete voi.




Sì, anche tu, lettore sconosciuto che non mi hai mai visto in faccia e che hai seguito le mie (dis)avventure negli ultimi quattro mesi.
Potete immaginare il mio stupore, la prima volta che ho parlato del viaggio dall'India al COES, nel vedere quante centinaia di persone si siano interessate alla mia salute. 
Dopo il primo post, ho ricevuto messaggi da tutte le parti, whatsapp, messenger, commenti, cuori, affetto, persone per strada che mi chiedevano come andava... e più andavo avanti a raccontare e più i miei lettori si facevano numerosi. Fino ad arrivare a sentirmi dire da amici, parenti, la mia estetista, e pure mio fratello (che l'ultima cosa che ha letto è stata - probabilmente - un Topolino nel 1999 o le istruzioni per montare il letto) che dovrei scrivere un libro. Probabilmente non lo farò mai, perchè sono un'eterna procrastinatrice, incostante e non porto (quasi)mai niente a termine, e probabilmente non diventerò mai la Ferragni col mio blog, e da questa storia non guadagnerò nemmeno un centesimo. Ma solo il fatto che il mio ultimo post sia stato letto DUEMILA volte, beh... raga! Che vi devo dire.... Grazie! 
Grazie, non smetterò mai di dirlo.
Prima di tutto perchè io nemmeno credo di conoscerle, 2000 persone. 
E secondo poi perchè mi riempite sempre d'affetto in una maniera incredibile, anche persone che avevo lì tra gli amici e coi quali magari non parlo da anni o semplicemente abbiamo un'amicizia che non va oltre al semplice scambio di "mi piace", però tra voi, i miei amici più stretti e la mia famiglia, avete fatto la cosa che, secondo me, è più importante per un malato: non mi avete fatta sentire sola.
Certo, è vero che la solitudine è nella testa di una persona che sta male, nel momento in cui pensi che nessuno possa davvero capire quello che stai passando, quello che hai dentro e i pensieri tristi che solo tu puoi sentire.
PERO'.
È anche vero che in tutti quei momenti, non mi è mai mancato un abbraccio, un aperitivo pieno di sorrisi, una cena in compagnia, un bacio sulla fronte o una mano amica che mi accarezza i capellini che mi stanno crescendo (oh, no, SPOILER!)

Se c'è una cosa che ho imparato, in questi mesi, è non dare per scontata la quotidianità, la semplicità, lo stare bene.
Dopo giorni e settimane passate con la nausea, priva di forze fisiche o mentali e con lo scazzo l'uggia del non volersi alzare dal divano, il solo fatto di poter stare bene fisicamente, e godersi una cena con i miei cugini a ridere fino alle lacrime è un piacere che magari prima non avrei colto. Ecco perchè mi arrabbio quando non riusciamo a organizzarci per una pizza, pur vivendo tutti nello stesso paese di seimila abitanti. Perchè, per me, quel momento che passiamo insieme, e durante il quale io sto bene, è un lusso che per molti altri giorni non mi sono potuta concedere.
Ancora di più dopo aver scoperto di essere guarita (oh, no, SPOILER numero 2!).
Il giorno in cui ho fatto la TAC, non sapevo che esito avrebbe avuto, e ho semplicemente scelto di circondarmi degli amici di una vita, e fare una piccola cena in casa, ignorante e con tanto alcol. E poco importa se l'esito sarebbe stato positivo o negativo, quello che mi importava era soltanto essere circondata da persone che sarebbero state in grado sia di farmi ridere fino alle lacrime sia di consolarmi, facendomi comunque ridere con delle battute assolutamente inappropriate e fuori luogo sulla malattia, come solo loro hanno sempre saputo fare (come quando, sette anni fa, è mancata una persona a cui tenevo tantissimo, e loro in qualche modo riuscivano a farmi ridere mentre ero devastata dal dolore, e per questo credo di non averli mai ringraziati). Alla fine, quella serata è stata un grande festeggiamento tranquillo, cibo buono, vino buono, champagne del Lidl, bambini che suonavano al campanello per "Dolcetto o Scherzetto" e venivano cacciati, Valentina che viene insultata dai suoi amici per aver cacciato i bambini, Luca che propone di dare ai bambini il Dolcetto inteso come vino,
bambini che tornano e si puppano i biscotti alla zucca, risate, abbracci e semplicità. Quella semplicità che voglio celebrare, che nella mia quotidianità fatta di nausee, dolori alla pancia, umore sotto i piedi e affaticamento, mi era mancata immensamente.

Quindi, il primo arcobaleno, amicici siete voi.

A proposito di amici, ecco la seconda novità.
Abemus lavoro!
Anche se è arrivata la lettera dell'accertamento delle capacità lavorative, da parte dell'Inps, che conferma la mia "totale invalidità lavorativa" con percentuale 100%, sono riuscita a trovare lavoro, per un anno, in una grande multinazionale torinese che magari non posso nominare per privacy (ma quando mai? È l'Iveco!). Quindi è proprio il caso di dire: impiegati dell'Inps? mavaaaaaaaacagarevah andate a espellere le vostre incombenze intestinali, suvvia.
Sono felicissima, agitatissima, totalmente consapevole che sarò un'incapace pazzesca o romperò il computer il primo giorno di lavoro, ma poco importa, la buona volontà e la voglia di imparare sono tante e perchè lo stipendio è davvero buono (e mai avrei pensato di poter chiamare "buono" il mio primo stipendio italiano, figuriamoci azzardare un "davvero buono", mi scende una lacrima!), l'orario è d'ufficio, le feste sono a casa e nel week end posso andare a piangere mentre guardo vedere il Toro allo stadio.

[PARENTESI INUTILE:
 vogliamo parlare di un altro momento felice? 
Tipo il Toro che vince in casa dopo DUE MESI? 
Ok, basta, chiusa parentesi arcobaleno-calcistica]

E ora parliamo degli amici, perchè, signore e signori, anche il Napoli ha trovato lavoro.
Siete in tanti ad avermi chiesto il suo curriculum perchè volevate aiutarci, e vi ringrazio tanto tanto tanto, perchè anche se magari la cosa non è andata in porto, il pensiero conta, e non lo dico tanto per dire. È proprio grazie a qualcuno - che non vuole essere nominato - che legge sempre il mio blog, se lui in questo momento mi ha abbandonata qui col mio papone e sta lavorando. Incrociamo le dita perchè gli vada bene e questo momento di tranquillità lavorativa duri per entrambi.


Una novità, che è conseguenza e allo stesso tempo artefice della mia tranquillità, è lo yoga.
Va tanto di moda da secoli, e io sono anni che continuo a dire che dovrei iniziare a farlo. Ho colto la palla al balzo, con il corso del Circolo Donna, e piano piano sto imparando a usare il respiro per trovare un po' di pace interiore.
Ve lo dico eh, è impossibile.
Anche durante i luuuuunghi minuti, passati a concentrarmi per respirare profondamente, nella mia testa è il caos. Sembra di essere a Kobane nel bel mezzo dei bombardamenti. Proprio gna fo' a spegnerlo e rilassarmi, se avete l'antidoto o la formula magica, condividetela con una donna perennemente inquieta.
Nel frattempo, continuo a lavorare sulla mia pace interiore, almeno mi impegno di più di quanto si stiano impegnando persone più importanti per lavorare sulla pace a Kobane.
Ma andiamo avanti.

Ormai l'altro arcobaleno ve l'ho già annunciato, metà su Facebook e metà poco sopra.
I CAPELLI!


Sono tanti, sono fini fini e SONO BIONDI. Ok, niente panico. Sono solo i primi, e fanno in tempo a scurirsi.
Non mi avrete mai bionda. Mai più. 



Sembro un pulcino spelacchiato, ma ad accarezzarli sembro un cucciolo di labrador. Avete il mio permesso scritto di pacioccarmi la testa appena mi vedete!


Ma l'altro arcobaleno che ho visto in questi giorni, ha poconulla a che fare con i capelli.
Ho avuto l'immensa fortuna di vedere e poter parlare con uno dei miei scrittori preferiti di sempre. Il profeta. L'unica persona che potrebbe parlare anche di pubblicità di pannolini per bebè, e io starei lì ad ascoltarlo, estasiata, come se si trattasse di un saggio sui diritti umani.
No, non è Obama.
Anche se è nel monte Olimpo degli uomini della mia vita.
È pelato.
È napoletano.
È Roberto Saviano.
Non è stato facile trovare qualcuno che venisse con me. Cioè, io sarei anche andata da sola. Cioè io gli avrei anche fatto compagnia per tutta la tournè, da sola. Cioè, io vorrei anche far parte della sua scorta, fargli da domestica, cuoca, autista, telefono amico, compare nel fantacalcio, fidanzata, madre dei suoi figli(non è vero, Luca, scherzo eh), però ormai avevo preso due biglietti e dovevo andare con qualcuno. Tutti i miei amici hanno storto il naso, perchè in molti ritengono che Saviano sia uno spocchioso, arrogante, pallone gonfiato e pieno di sé. Quindi alla fine, mi ha accompagnato il suo compaesano, malgrado pensasse le stesse cose che pensavano i miei amici.
Ora, io non sono mai andata a prendere un caffè con Bobo, ma in quei cinque minuti in cui sono riuscita a scambiare due parole con lui, vi assicuro che mi è sembrato tutto fuorchè ciò che in molti pensano.
Avendo una gran faccia da culo tosta, ho iniziato subito a fare la rompipalle stressacadaveri, chiedendogli di inserirmi una dedica speciale "Stai senza pensieri", perchè il giorno dopo avrei avuto la famosa TAC e avevo davvero bisogno di sentire la mia frase preferita in napoletano, e non c'entra niente il fatto che la dicano di continuo in Gomorra, davvero.
Dopodichè è partita la seconda richiesta. Potete pensare quello che volete (e se non la pensate come me, come al solito, non me ne frega un cazzo la vostra opinione non è di mio primario interesse) ma ogni volta che sento quanto sia difficile la vita sotto scorta, mi si stringe il cuore e mi sale una gran voglia di abbracciarlo, perchè la solitudine non la merita nessuno. E così mi sono fiondata ad abbracciare Saviano, tuffandomi tra le sue braccia che la Cagnotto avrebbe preso un 10 alle olimpiadi. Me ne sono andata con la promessa, da parte sua, che la TAC sarebbe sicuramente andata bene e la promessa, da parte mia, di fargli sapere in qualche modo come sarebbe andata.



Quindi arriviamo con la notizia più bella, ma mi sa che ormai non è nemmeno più una novità, visto che l'altro giorno i miei mi dicevano che, dopo la messa, venivano fermati dalle persone che mi conoscono per farmi i complimenti per la guarigione (o si dice auguri per la guarigione?). Ma pechè non ho pensato di farlo dire dal parroco del paese con il megafono? 


Occhei, Valentina, un po' meno.


Dunque la grande notizia è cheee:

LINFOM*RDA È STATO SCONFITTO.

E qua c'è solo una cosa che va detta, cantata, condivisa e ricondivisa in tutto il mondo:




Cari tutti, voi tenetevi la Madonna di Lourdes, quella di Fatima e di Medjugorje. Padre Pio e tutto il calendario dei Santi.
A me è bastato un abbraccio da Santo Roberto Saviano da Napoli, per guarire dal linfoma.

Si scherza, né.
Per fortuna esiste la chemio, i dottori, la scienza e LA RICERCA.
A tale proposito, ci tengo veramente tanto tanto tantissimo a fare un piccolo momento di pubblicità.


Raga, la ricerca è FONDAMENTALE per fare in modo che i linfom*erda e tutti gli altri cancrim*rda vengano sconfitti e le persone come me possano continuare a rompervi le ballescatoline. Potete anche credere che sia Dio a curarmi, ma senza l'aiuto della chemioterapia, anche Dio ha le mani legate, ve lo assicuro.

Nel dubbio, questi sono i GIORNI DELLA RICERCA, fino al 5 novembre, e vi allego un articoletto preso da LaStampa dove vi spiegano bene tutto quello che sta facendo l'AIRC, cliccando QUI.



Ci chiediamo spesso cosa possiamo fare noi per rendere il mondo un posto  migliore, almeno io me lo chiedo piuttosto spesso. E in tantissimi mi avete chiesto "cosa posso fare per aiutarti?", per aiutare me personalmente, niente, oddio, a parte venirmi a trovare con una vaschetta di gelato. Però non ci sono solo io, siamo in tanti, basti pensare che ogni giorno vengono diagnosticati circa mille nuovi casi di cancro.

E voi cosa potete farci? Potete fare un sacco. Prima di tutto, ci sono moltissimi tipi di cancro che sono riconoscibili in anticipo, prima che siano troppo dannosi, con la prevenzione, quindi non sottovalutate le vostre condizioni fisiche. Il mio linfom*rda non si poteva riconoscere in anticipo, non ha dato sintomi, ed è diventato una palla di 20cm che mi è cresciuta nell'intestino.

Oltre alla prevenzione si può fare qualcosa attivamente, e il modo più banale che mi viene in mente è donando il sangue. Durante le mie simpatiche visite in ospedale ho visto decine di persone che facevano trasfusioni, e io stessa ne ho avuto bisogno in India. DONATE. Non costa niente, ovviamente non vi pagheranno, ma sarete controllati ogni volta che donate il sangue, gli esami sono gratuiti e la vostra salute è sempre sotto controllo, e soprattutto, cosa molto più importante, potete davvero salvare la vita a qualcuno.

E se avete paura degli aghi, se avete visto le Iene e pensate che poi l'Avis vi rubi le sacche di sangue e le rivenda al mercato nero ( Ienedimerda Le Iene sono un programma che non incontra i miei gusti personali), se non volete donare il sangue senza che vi diano dei soldi in cambio, o se avete tante balle simpatiche scuse per la testa, allora donate all'AIRC.

Spendete sti du' soldi per i "cioccolatini della ricerca" ( trovate le piazze dove comprarli: CLICCANDO QUI )

O fate semplicemente una piccola donazione dal sito, sempre seguendo il link che ho messo sopra. Non importa se non siete miliardari, un piccolo aiuto da parte di tutti aiuta la ricerca a crescere, e voi aiutate gli sfigati come me a guarire.

Prontissima ad affrontare questi ultimi 21 giorni che precederanno l'ultimo ciclo e che inizieranno con l'organizzazione di una giornata intera di sorprese per il compleanno dell'uomo che più ha dovuto sopportare le mie lamentele, i miei pianti, i cambi d'umore, le ore infinite nelle stanze d'ospedale, i miei silenzi, i turbamenti, le risposte acide e sarcastiche. Perchè in questi giorni, nessuno più di lui, che ha messo da parte il suo spropositato e permalosissimo ego, per far spazio al mio gigantesco ego da vittima malaticcia, e merita di essere festeggiato nel migliore dei modi.
E io vengo dalla scuola Maria DeFilippi, no, non Amici, la scuola di C'è Posta Per Te, con sorprese, lettere lunghe come la bibbia e pagliacciate varie, poverino non sa cosa lo aspetta.


Sempre con il mio motto preferito
#nonsimollauncazzo #nonsimollaunpene #scusamamma

P.S. Mi scuso per la quantità di gif di Will e Grace ma questa puntata è stata particolarmente toccante, quindi meritava qualche menzione in più.